«Con il Covid più casi psichiatrici nei bambini». Come riconoscere i segnali e cosa fare

Maurizio Morlupo
di Ilaria Bosi
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Mercoledì 24 Marzo 2021, 09:53 - Ultimo aggiornamento: 17:02

PERUGIA L’umore che precipita, lo sguardo spento, il sonno disturbato. Gli attacchi improvvisi d’ira, la tendenza ad isolarsi, le modifiche delle abitudini alimentari. A un anno dall’inizio dell’emergenza sanitaria, cosa sta accadendo ai nostri bambini? Tra i più colpiti da questa pandemia, infatti, ci sono proprio loro che, a seconda della fascia d’età, lanciano segnali precisi, che vanno colti e affrontati.
Maurizio Morlupo,  oltre ad essere pediatra di famiglia, è presidente della Sip Umbria, la Società italiana di Pediatria.

Dottor Morlupo, qual è la situazione?
Nell’ultimo anno notiamo un aumento dei casi di neuropsichiatria infantile. La Sip ha invitato le regioni a fare un lavoro sull’incidenza dei disturbi neuropsichiatrici, che consiste nel raffronto dei dati (marzo 2019-2020 e marzo 2020-2021) degli accessi al pronto soccorso, per casi riconducibili alla sfera emotiva. Si tratta di un lavoro complesso e introspettivo, i cui risultati verranno fuori più avanti. Di tangibile, però, i pediatri di famiglia e quelli ospedalieri hanno effettivamente registrato che le patologie neuropsichiatriche nei bambini e negli adolescenti sono in aumento.
Come si manifestano?
Si va dalle crisi ansioso depressive ai disturbi del sonno (che investono anche i più piccoli), dalle crisi di panico fino all’iperattività e ai disturbi del comportamento alimentare. Solo in casi rari, ma non trascurabili, si è arrivati anche, nella tarda adolescenza, ai tentati suicidi.
Cos’è il Covid-19 per i bambini?
Non solo una pandemia virale, ma una vera sindemia: perché oltre alla patologia organica vera e propria coinvolge la sfera sociale e psicologia delle famiglie intere.
Si tratta di un disagio trasversale?
Sì, è un fenomeno che non conosce differenza di estrazione sociale. Per i bambini, il fatto stesso di non andare a scuola, porta a sconforto e solitudine. Rapportarsi con gli altri attraverso un computer, non potere svolgere più, salvo rari casi, un’attività fisica che è relazione e sfogo. Non è facile.
Qual è il rapporto tra covid e scuola?
Stare in classe non spinge la curva della pandemia, questo è il dato di uno studio recente. Il problema è il prima e il dopo la scuola, ma questo non deve a mio avviso giustificare una persistenza della chiusura delle scuole».
Sbagliato chiudere le scuole?
Ci sono state fasi in cui è stato necessario chiudere tutto, non solo la scuola. Nel momento però in cui il rischio di contagio si abbassa, bisogna gradualmente riaprire. In qualche distretto regionale si è già tornati in presenza, speriamo che a breve, partendo dai più piccoli e passando per primarie e medie, possano tutti tornare a socializzare. Con le dovute accortezze.
La scuola, quindi, è un luogo sicuro?
«Sì, perché a tutti i livelli si è impegnata per rendere sicuri gli spazi, anche in strutture spesso fatiscenti. Poi gli insegnanti, una nota di merito anche a loro: hanno lavorato bene, in sinergia, come è avvenuto tra pediatri di famiglia e ospedalieri. Se riusciamo a fare tornare gli studenti alla frequenza scolastica, sicuramente li aiutiamo da un punto di vista psicologico.
Cosa fare quando i bambini manifestano i segnali di disagio?
Il primo aiuto viene dalla famiglia, che deve cercare di stimolarli anche in un momento come questo.
In che modo?
Gli è preclusa l’attività sportiva? Invitarli, ad esempio, a fare insieme una passeggiata, a condividere delle esperienze. Nel rispetto delle prescrizioni, poi, sarebbe anche importante farli incontrare all’aperto con uno o due amichetti, ovviamente senza creare assembramento. Uscire da casa è la parola d’ordine.
Se c’è bisogno di un aiuto ulteriore?
Rivolgersi al pediatra di famiglia, che deve essere una figura di riferimento: conoscendo il bambino e il contesto, può percepire se c’è una patologia che può diventare preoccupante o se si tratta di uno stato d’animo transitorio.

Cosa va evitato? Il fai da te. Il pediatra può essere anche un ottimo filtro per indirizzare le famiglie verso i servizi territoriali, ben dislocati in tutta la regione.

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