Coronavirus, cultura e turismo per il rilancio
valgono successo e il 5 per cento di Pil

Si torna a passeggiare in centro
di Italo Carmignani e Fabio Nucci
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Martedì 19 Maggio 2020, 08:46 - Ultimo aggiornamento: 21 Maggio, 18:37
PERUGIA L’emergenza covid ha dimostrato con più forza quanto l’immagine per una regione come l’Umbria conti: oggi anche per una questione di sicurezza, in prospettiva soprattutto per motivi legati alla risalita economica. Che non può prescindere «dall’industria culturale», una leva che se opportunamente sfruttata potrebbe portare a un aumento del Pil regionale del 5%.
Il sistema produttivo culturale regionale genera oltre un miliardo di valore aggiunto dando lavoro a circa 21mila addetti (elaborazione Aur, su dati 2019 Unioncamere e Fondazione Symbola) ma guardando regioni come Marche (2,2 miliardi di valore aggiunto) e Abruzzo (1,2), il Cuore verde si scopre in ritardo. «Sotto un profilo di valore aggiunto e occupazione, l’Umbria sembra meno performante», osserva Giuseppe Coco, ricercatore dell’Agenzia Umbria ricerche (Aur). «Se l’Umbria col suo sistema produttivo culturale riuscisse a generare lo stesso valore aggiunto delle Marche potrebbe aumentare il suo Pil del 5%». Una sfida che porta a guardare oltre i suoi eventi cardine, da Umbria Jazz al Festival dei Due mondi, allargando lo sguardo ai punti di forza del territorio, naturalistici, storici e culturali, da coordinare e valorizzare per attrarre visitatori e aziende che nella regione possono tornare a investire. «Nella costruzione della sua competitività – osserva Elisabetta Tondini, ricercatrice Aur - un territorio ha bisogno di poter essere identificato nelle sue potenzialità e nei suoi caratteri peculiari, deve avere una sua identità. Il territorio deve comunicare ciò che è, ciò che sa fare, le sue qualità, il suo valore».
Un tema centrale in una fase in cui la regione cerca il rilancio e nella quale ogni elemento di attrazione non può essere sottovalutato. «Di fronte a noi c’è un mondo che tende ad amplificare i bisogni di nuovi gusti e di nuove tendenze - osserva Coco - a valorizzare certi luoghi e mandarne in oblio altri». Da qui, la necessità di esaltare tutto quanto può essere da stimolo per l’industria culturale regionale. «Penso ad Alberto Burri che a mio avviso vale Pintoricchio nella sua epoca ma che per motivi politici sembra essere stato accantonato. In lui c’è sicuramente l’Umbria (nel ciclo dei sacchi c’è molto del saio sdrucito di San Francesco) e in Umbria potrebbe essere più spazio per il Burri protagonista della nascita dell’arte contemporanea».
Una sfida che si gioca anche sul lato dei borghi, molti dei quali impeccabili esteticamente ma talvolta quasi dei gusci vuoti. «Hanno un’elevata propensione allo spopolamento – aggiunge Coco – sono set cinematografici perfetti ma quando va via la troupe o i turisti del fine settimana, restano vuoti. Eppure possono far leva su una qualità della vita eccezionale e l’emergenza covid può essere il momento per invitare le persone a venire in Umbria anche a vivere. I servizi sono di buon livello e le autostrade telematiche funzionano». E funziona anche l’attrattiva dei beni culturali («il totale dei visitatori dei musei umbri non è lontano da quello degli Uffizi») dai quali molto si può ottenere in chiave conservazione e tutela. «Sono imprescindibili, altrimenti il tempo si mangia tutto». Cosa manca per il salto di qualità? «Una regia c’è, la Regione, Sviluppumbria, ma l’istituzione temo non basti, manca un regista-manager dalla mentalità giovane e visionaria. Viviamo nell’era dell’immagine dominata dalla filosofia di unire i punti, come in una rete: due punti oggi non sono vicini o lontani, ma connessi o disconnessi».
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