Coletto: «Come si cura la sanità?
tagliando i rami secchi». Il piano

L'assessore alla Sanità Luca Coletto
di Fabio Nucci
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Sabato 1 Agosto 2020, 08:17

PERUGIA Usa la metafora dell’agricoltore che in autunno deve tagliare alcuni tralci per consentire alla vite di produrre di più per descrivere il percorso che attende la sanità umbra. Perché per l’assessore regionale alla Salute, Luca Coletto, per continuare a funzionare bene il comparto umbro deve fare i conti coi suoi limiti strutturali e superarli con un inevitabile processo di riorganizzazione. Partendo dai numeri del bilancio sanitario 2019 approvato con un utile di 233 mila euro: a fronte di 12 milioni in più arrivati dal Fondo nazionale, il “valore della produzione” ne ha persi 15.
Assessore Coletto, che sanità descrive il bilancio umbro?
«C’è un problema di organizzazione da affrontare. Nonostante ci siano stati 12 milioni in più rispetto al riparto precedente del Fondo nazionale, non ci sono stati ricavi sufficienti a pareggiare l’aumento di costi. Il valore della produzione dal 2018 al 2019 è passato da 1.925 a 1.910 milioni: c’è qualcosa che non va nell’organizzazione, oltre ad esserci un problema di limitazione della mobilità attiva operata dalla precedente amministrazione».
Che idea si è fatto del sistema sanitario regionale, quindi?
«Abbiamo avuto poco tempo per affrontare certe scelte, considerando che dal nostro insediamento 4 mesi li abbiamo spesi ricorrendo il Covid. Oggi stiamo completando il riallineamento degli ospedali per farli ripartire a pieno regime, nonostante alcune speculazioni».
Parla di Pantalla?
«Una è questa. Ma se il governo ha deciso di non prevedere la terapia intensiva è perché non considerava Pantalla un Dea (Dipartimento di emergenza e accettazione, ndr) né di primo né di secondo livello. Essendo un ospedale di base, è stato deciso di non metterla e il discrimine era proprio quello. Ci sono problemi strutturali che vanno presi in mano e risolti alla luce delle nuove necessità e ricordando che il Piano sanitario umbro è del 2011: di solito durano massimo 5 anni. Per costruire qualcosa, prima occorre fare le fondamenta che in questo caso si chiamano Libro bianco, la fotografia del sistema che a breve pubblicheremo. È lo stato di fatto da dove partire per progettare il futuro della sanità».
L’Umbria riferimento nazionale (bentchmark) è a rischio?
«Faremo di tutto affinché non lo sia anche se i segnali negativi ci sono: per questo stiamo già operando ma occorrerà essere più pesanti sugli interventi da fare e nell’accelerare i tempi della nuova programmazione. Nonostante il Covid siamo andati avanti col libro bianco che ci dà la possibilità, ad esempio, di evidenziare i flussi, dove le persone vanno a curarsi, dove c’è una copertura importante di posti letto per acuti e dove è possibile spostarli».
Inevitabile una riduzione delle aziende della sanità?
«Non ho mai fatto discorsi sui numeri. Ma un bilancio simile dice che ci sono costi in più che non sono serviti ad aumentare il fatturato, ma sono fine a sé stessi. Se si vuole avere una macchina efficiente, i pesi morti vanno eliminati: perché gli agricoltori vanno a potare le viti in autunno? Per evitare che ci siano dei tralci in più che farebbero produrre meno la vite. È inutile continuare così, faremmo del male alla sanità e soprattutto ai cittadini».
Come intende procedere?
«Facendo le cose per bene, condividendo i percorsi con la Presidente, il Consiglio regionale e ascoltando gli stakeholders. Ma ci sono tanti dati da considerare a partire dal fascicolo sanitario, mai completato. Se lo avessimo avuto, durante il lockdown il problema delle ricette che non arrivavano per via informatica in farmacia, non si sarebbe presentato. Quando dico che il problema è strutturale intendo questo, spendere dei soldi senza avere alcun ritorno. Se si fanno investimenti, vanno rendicontati».
In questa sanità c’è spazio per un welfare più sociale?
«La sanità si fa già carico del sociale: quando le persone sono ricoverate in case di riposo la quota sanitaria la giriamo alla struttura e diamo anche assistenza sanitaria. È vero che il welfare moderno è sempre più sociale ma non si può scaricare tutto sulla sanità che resta la migliore d’Europa. Se andiamo a toccare un equilibrio labile, con popolazione anziana che aumenta di numero e assorbe risorse (il 20% popolazione assorbe l’80% delle risorse) rischiamo di far saltare il sistema: va bene il welfare più sociale, ma va destinato un fondo che ne assorba le necessità. Anche perché se le cure sono erogate in base ai Lea, stabiliti nel 2001 e riveduti nel 2017, lo stesso non può dirsi nel sociale. sono 40anni che stiamo cercando di stabilire Lep o Leas (livelli di prestazione o assistenza sociale). Se andassimo a definirli, creeremmo diritti uguali a livello nazionale perché oggi le regioni non hanno un livello omogeneo: erogano ciò che possono considerando che al Nord ci sono piani socio-sanitari e al Sud solo piani sanitari. Semplificare può essere funzionale ma anche pericoloso se non si conosce bene la situazione per com’è».

 

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