Coronavirus, al Pronto Soccorso l'allarme suona 20 volte al giorno

Paolo Groff, primario del Pronto Soccorso dell'ospedale di Perugia
di Luca Benedetti
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Mercoledì 25 Marzo 2020, 16:22
PERUGIA - Paolo Groff è il direttore del Pronto Soccorso dell’Azienda ospedaliera di Perugia. Attenzione alle parole che usa: guerra e pace fanno effetto, ma danno l’idea della trincea che vive l’ospedale.
Dottor Groff, vi trovate a gestire una struttura strategica nella lotta al coronavirus. Come è cambiato il Pronto Soccorso?
«Radicalmente. Pensate solo che prima lavoravamo a ritmi anche di 200 accessi al giorno. L’altro giorno, in 24 ore, ne abbiamo avuti trentanove».
Quindi la maggior parte delle vostre attività vengono,ormai, girate verso l’inquadramento dei pazienti Covid-19?
«È un passaggio decisivo del nostro lavoro, per così dire, in tempo di guerra. Siamo impegnati nell’accettazione del paziente Covid positivo con insufficienza respiratoria e la sua stabilizzazione e poi il trasferimento nelle aree che ospitano i Covid positivi. Oppure gestiamo i casi sospetti trasferendo in aree apposite, le cosiddette grige, il paziente. Poi c’è il lavoro con il triage avanzato, quello che avete imparato a conoscere come il container davanti all’ingresso del Pronto soccorso. Tutte attività che in tempo di pace non abbiamo mai effettuato».
Da un punto di vista logistico come è oggi il Pronto Soccorso?
«L’Osservazione breve era il luogo dove, per esempio, tenevamo per qualche ora il paziente che arrivava con un trauma cranico leggero o un dolore al torace non preoccupante. Adesso lì ci va chi ha bisogno di un supporto respiratorio. E c’è un percorso protetto per questi pazienti. Ma anche per i pazienti no Covid che hanno, per così dire, un percorso pulito. Chi entra nel percorso Covid va in medicheria attrezzata per essere sottoposto alla radiografia, a diagnostica di vario tipo e, se serve, alla ventilazione polmonare. Il paziente resta in medicheria fino a che non sono finite le attività diagnostiche. Poi va in Obi o nell’area grigia per la definizione completa. Se il paziente si individua subito come Covid viene avviato nella aree dedicate dell’ospedale».
Quando l’ambulanza arriva al Pronto Soccorso con un paziente sospetto Covid-19, avete già un quadro prima di avviarlo alla medicheria?
«Assolutamente sì. Il rientro in Pronto Soccorso del codice sospetto viene annunciato dalla centrale operativa del 118 già con un quadro clinico tracciato».
Che tempi avete tra la presa in carico di un paziente che arriva come Covid e l’assegnazione ai reparti?
«La diagnostica prima dell’assegnazione può richiedere tempi lunghi. Anche perché i pazienti restano in carico da noi fino a che non c’è un posto libero. Di conseguenza, se le nostre medicherie sono complete, valutiamo i tempi prima di accettare un nuovo accesso. L’ingresso al Pronto Soccorso di un paziente Covid diventa una sorta di collo di bottiglia perché il paziente deve essere sottoposto alle procedure cliniche per le sue necessità, ma ci sono anche passaggi necessari per la tutela di personale e di altri utenti».
Quindi, direttore, cosa succede?
«Ogni transito del paziente dall’ambulanza alle medicherie alla diagnostica, prevede operazioni di sanificazione che hanno i loro tempi. Accompagnare un paziente Covid alla Tac significa identificare percorsi spesso esterni, che passano per percorsi presidiati con la conseguente sanificazione dell’ambiente, dei mezzi di trasporto, si pensi alle barelle e ai percorsi stessi. Prima una procedura di accesso con sanificazione richiedeva meno di un’ora, adesso si va oltre l’ora».
Dottor Groff, quanti pazienti Covid-19 arrivano in media al vostro Pronto Soccorso?
«Dai dieci ai venti, a seconda delle giornate».
Con l’apertura di Pantalla come Covid hospital, le cose sono cambiate per il Pronto Soccorso di Perugia?
«L’accesso a Pantalla avviene in trasporto secondario. Sono i reparti Covid dell’Azienda che decidono di utilizzare quell’ospedale in base ai posti letto disponibili a Perugia».
Sul fronte dei turni e del personale, come va?
«Abbiamo dovuto istituire un altro turno medico e più turni infermieristici aggiuntivi. Speriamo di incrementare presto il personale».
Avete casi di positività tra i vostri operatori?
«No, ma qualcuno in quarantena sì. Questo, però, riguarda molte unità operative, non solo la nostra».
Direttore, quando è pesante la situazione che state vivendo?
«Dico solo che umanamente ce la stiamo mettendo tutta».
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