Coronavirus Umbria, il paziente 1: «Io mi sono salvato ma ancora non posso abbracciare mia madre»

Coronavirus Umbria, il paziente 1: «Io mi sono salvato ma ancora non posso abbracciare mia madre»
di Sergio Capotosti
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Sabato 4 Aprile 2020, 08:37 - Ultimo aggiornamento: 09:20

L'incubo ancora non è finito. Il virus non c'è più, ma quell'abbraccio che manca da più di quaranta giorni ancora non è arrivato. «Non posso. Il dottore mi ha detto che mi devo comportare comunque come tutti ora. Perciò distanze di sicurezza da rispettare anche per me». Queste le parole del paziente 1, il trentenne di Montecastrilli che ancora oggi non può abbracciare i propri cari. Madre, padre e sorella. Quell'abbraccio liberatorio ancora non c'è stato. L'isolamento contumaciale è terminato ieri. «Ho fatto quaranta giorni precisi», dice il trentenne di Montecastrilli che ha ritrovato il sorriso. «Una quarantena in piena regola», racconta con tono allegro.

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La data storica per l'Umbria. È il 28 febbraio del 2020. Una data che passerà alla storia. Il primo caso di coronavirus in Umbria si registra proprio a Montecastrilli. Nel giro di poche ore il sindaco Fabio Angelucci firma la prima ordinanza contumaciale della regione, un provvedimento che obbliga la persona positiva al Covid-19 a rimanere in casa per 15 giorni, senza incontrare nessuno. È l'inizio di un incubo che l'Umbria sta ancora vivendo. In poche ore si ricostruisce l'identikit del paziente 1 e come possa aver contratto la malattia durante un impegno di lavoro a Roma. Arrivano le conferme e per il trentenne tutto si blocca.

«La cosa che più mi ha colpito e immaginare mia madre che mi lascia da mangiare dietro la porta della cameretta», racconta il paziente 1. Quei pasti che per quaranta giorni saranno ritirati solo dopo che la mamma si è allontana, per evitare anche solo lontanamente che il virus potesse colpire i familiari. «Al contrario di quanto si andava dicendo nei giorni successivi - racconta ancora il paziente 1 - nessuno dei miei familiari è risultato mai positivo».

Superare la quarantena non è stato facile. «Ho letto molto e studiato. In particolare i libri di Osho, ma ho visto anche i film su Netflix» racconta il trentenne di Montecastrilli. «Ho apprezzato moltissimo il calore che mi hanno dimostrato i miei datori di lavoro, li ho sentiti molti vicini», prosegue il paziente 1. «Il personale sanitario è stato semplicemente eccezionale», aggiunge. Trascorrere quaranta giorni in una cameretta è stato possibile. Eppure c'è chi ancora non ha capito l'importanza di restare a casa per contenere la diffusione del virus e permettere agli ospedali di non andare in affanno. «Spero che lo capiscano, anche se dopo tanto tempo ho qualche dubbio. Ma è davvero l'unica cosa da fare. Restare a casa», dice il paziente 1. Per quanto riguarda il suo stato di salute, nessuna complicazione.

«Come avevo detto all'inizio ho avuto solo febbre che ho curato con la tachipirina», dice il trentenne. Ma il virus non voleva andarsene. La norma dice che per uscire dall'isolamento contumaciale devono risultare due tamponi negativi nell'arco di 48 ore. La comunicazione tanto attesa, dopo vari test, è arrivata ieri mattina. «La telefonata l'ha presa mia madre», racconta. Una liberazione, ma purtroppo solo a metà per quell'abbraccio mancato.
 

 
 

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