«Coronavirus, parrucchieri:
come si può ripartire in Umbria»

Uscire con la mascherina si può
di Cristiana Mapelli
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Mercoledì 29 Aprile 2020, 08:42
PERUGIA «Dal 4 di maggio prima e poi dal 18, di fatto, gli unici settori che rimarranno chiusi al pubblici sono i servizi alla persone chiuse dall’11 marzo. A rischio ci sono 2.500 imprese umbre, tra parrucchieri e centri estetici, con una ricaduta occupazione per oltre 6mila addetti, oltre al rischio di favorire la diffusione di lavoro nero a domicilio senza controlli né misure di sicurezza, con il rischio di aumentare il rischio di contagio che le misure vorrebbero evitare». La denuncia arriva da Cna Umbria e dal suo direttore Roberto Giannangeli a qualche giorno dalla firma del nuovo Dpcm. «In una regione piccola come l’Umbria, dove i numeri dei contagiati sono contenuti, crediamo che esistano tutte le condizioni per far ripartire i servizi alla persona». Da Cna arriva la proposta: trasformare da subito l’Umbria in una regione modello, una zona bianca in cui sperimentare per primi, a livello nazionale, la riapertura delle imprese di servizi alla persona dopo quasi due mesi di lockdown per contrastare la diffusione del contagio da coronavirus. Piero Montanucci, presidente della categoria di Cna e titolare di un salone di acconciatura, ne è convinto, così come le quasi 400 imprese umbre del settore che hanno sottoscritto una lettera-appello indirizzata alla governatrice dell’Umbria, Donatella Tesei, e ai prefetti di Perugia e Terni. «Assorbiti la delusione e il malumore per la decisione del governo nazionale di escludere il nostro e altri settori dalla ripresa dell’attività a partire dal 4 maggio – commenta Montanucci - , noi rilanciamo con la proposta di trasformare invece l’Umbria in un laboratorio nazionale per far tornare all’attività i servizi alla persona, a cui potrebbero aggiungersi anche bar e ristoranti. Vorrà pur dire qualcosa avere dati molto bassi di contagio rispetto a moltissime altre regioni e un R0 che, già all’inizio di aprile era di pochi decimali percentuali». Secondo l’istituto superiore di Sanità, infatti, l’indice R0 rappresenta il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto in una popolazione non immune a un agente patogeno, in questo caso rappresentato dal Coronavirus. «Vuoi che il caso umbro sia stato determinato dalla fortuna, o dallo storico isolamento infrastrutturale tante volte denunciato, o dal carattere dei suoi abitanti, o dalla giustezza delle scelte operate dalle autorità sanitarie, o perché come cittadini siamo stati bravi e abbiamo dimostrato senso di responsabilità durante il lockdown, o per tutti questi motivi insieme, appare evidente che ripartire con tutte le attività per noi sarà più facile rispetto alla Lombardia. Naturalmente deve trattarsi di una ripartenza tracciata a livello nazionale dal punto di vista legislativo e adottando tutti i protocolli necessari». «La nostra categoria, che ha ben presente l’importanza della sicurezza sanitaria nell’erogazione dei servizi, è disponibile a confrontarsi con le organizzazioni sindacali per arrivare, se necessario, a una definizione più puntuale dei protocolli di sicurezza nazionali. Ce lo permettono i dati ma anche il grande sforzo economico, sia pubblico che privato, che ha permesso di fare ingenti investimenti per rafforzare in poco tempo le terapie intensive sul nostro territorio. Ci rendiamo conto che la nostra proposta può rappresentare una grande sfida, sia per il Governo che per la stessa Regione, ma noi siamo pronti a fare la nostra parte. Abbiamo un impegno morale – conclude Montanucci -, sia con i clienti che con i nostri dipendenti e con le nostre famiglie».
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