Coronavirus, Guarducci: «Vi svelo
​come sarà Eurochocolate 2020»

Coronavirus, Guarducci: «Vi svelo come sarà Eurochocolate 2020»
di Luca Benedetti
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Domenica 10 Maggio 2020, 03:02 - Ultimo aggiornamento: 11 Maggio, 11:14
PERUGIA Eugenio Guarducci, patron di Eurochocolate, e non solo, è dentro alla Fase 2. Ma fedele al personaggio, che una e mezza ne fa e cento ne pensa, sta con un piede anche dentro alla Fase 3. In testa mille pensieri, non solo sulla sua creatura preferita, ma anche sul Todi Festival. Con un passaggio per la politica, con un accenno di pagella per la presidente Tesei. Dispensa consigli e fa i conti indossando mascherine col tricolore.
Allora, Guarducci, Eurochocolate a ottobre si fa o non si fa?
«Mentre qualche settimana fa ero abbastanza, anzi molto scettico, ora qualche spiraglio di luce lo intravvedo»
Da dove arriva questa svolta ottimistica?
«L’Umbria da una parte riconferma il fatto di essere un’isola quasi felice. E poi ci sono ormai spinte centrifughe, da un punto di vista sociale ed economico, per la ripartenza. Se non si parte si rischia di morire più a causa di conflittualità e di povertà che di coronavirus. Un virus che sembra, nel frattempo, aver un po’ cambiato pelle, la medicina lo affronta con più esperienza, ci sono meno malati acuti negli ospedali e una medicina di territorio più preparata. Questo deve darci forza e vigore. Se non avremo la forza e il coraggio di recuperare ci sarà un cimitero di imprese».
Quindi, cosa bolle in pentola? Come sarà Eurochocolate 2020?
«Lo spiraglio di cui parlavo prima lo immagino così: un format ridisegnato con una possibile regionalizzazione dell’evento e, se necessario, anche uno spostamento di date a novembre. Un evento che abbia, in ogni caso, anche un ruolo di rilancio per l’intera regione». 
Guarducci, quindi dove porterà gli stand e le iniziative?
«Nelle città e i territori dell’Umbria pilastri del turismo umbro. Territori su cui va impostata la ripartenza indipendentemente da Eurochocolate».
Diamo la nuova geografia della kermesse?
«Assisi con la sua vocazione della ecosostenibilità. Penso a Spoleto, a Todi, a Città di Castello, a Gubbio, al Trasimeno, alla cascata della Marmore. È logico che in un progetto regionale ci deve stare dentro anche la provincia di Terni allora come dimenticare Orvieto. Ogni territorio ha la possibilità di confrontarsi con il cioccolato grazie al suo paniere agroalimentare. Questo è uno degli scenari possibili. Non stiamo con le mani in mano, ma siamo pronti a metterci al lavoro con la necessaria condivisione degli enti locali, a partire da Comune di Perugia e Regione».
E il Todi Festival? Che succede?
«È un evento che negli ultimi anni ha sgomitato bene è ha raggiunto traguardi ambiziosi. Non è evento da grandi numeri, sindaco e giunta hanno voglia di farlo. Aspettiamo i paletti del governo, il ministro Franceschini ci sta lavorando. Servono format e scelte logistiche diverse, ma siamo pronti se avremo le condizioni per farlo».
Un giudizio sul lavoro della presidente Tesei in questa emergenza
«Vista la particolare, e favorevole condizione epidemiologica della nostra regione, aveva la possibilità di fare la “soubrette politica” dei salotti televisivi e ho apprezzato che non l’abbia fatto concentrandosi pancia a terra sul tanto che c’è stato da fare. Ha tenuto un garbato ruolo istituzionale facendo sentire, parlando senza urlare, la sua voce. Certo, rappresenta una regione di 900 mila abitanti e non ha lo stesso speso e lo stesso ascolto di regioni più grandi, ha battuto il pugno sul tavolo fino a che ha potuto. Il suo stile rigoroso, ma non aggressivo, ha fatto da contraltare a una condotta politica arrogante, esercitata irresponsabilmente in questa fase da molti piccoli o grandi leader».
Per la ripartenza cosa consiglia?
«Se mi metto per un minuto nei panni della presidente Tesei e dei suoi assessori immagino che gestire la crisi e traguardare il futuro della Regione a media (autunno) e lunga distanza (2021 e 2022) sia parecchio complicato. Servono, probabilmente, anche figure o strutture che diano una mano a disegnare strategie a medio e lungo termine svincolati quindi dalla quotidiana emergenza sanitaria, economica e sociale che durerà ancora per diversi mesi».
Per la Regione il turismo è la base da cui far ripartire l’Umbria, con un messaggio di sicurezza e apertura. Può essere un buon punto d’avvio?
«È chiaro che l’Umbria possa essere candidata a un ruolo interessante per il turismo estivo se ci sono italiani che hanno ancora il portafoglio o bonus per andare in giro. Ma ci sono anche altri aspetti da valutare»
Guarducci, si spieghi.
«C’è da considerare che l’offerta turistica non è solo agriturismi o bed and breakfast a gestione familiare che possono ripartire con più facilità. Ci sono anche alberghi da 60-80-100 camere con carichi occupazionali significativi che hanno perso il turismo congressuale, che hanno visto andare in fumo contratti con il turismo internazionale. Credo che più che la App per gli immuni serva un Imu-no. Cioè togliamo l’Imu agli alberghi per il 2020, interveniamo con misure urgenti di detassazione, ci sono stati mesi totalmente improduttivi. Noi paghiamo 330mila euro di Imu e centomila di Tari al Comune di Perugia e adesso, per non far trovare in difficoltà chi lavora con noi, stiamo anticipando la cassa integrazione a cento persone. Non siamo industria 4.0. Non abbiamo macchinari, abbiamo il capitale umano che dobbiamo tutelare. E siamo un’azienda che nelle sue varie ramificazioni, dal turismo, al commercio, agli eventi, agli spettacoli, non ha avuto una sua attività non toccata dalla crisi». 
A proposito di crisi. Tutti dicono che nulla sarà come prima. Per Guarducci cosa serve per la nuova economia post Covid-19?
«Bisognerà rivedere tante cose e non ci sarà più spazio per l’improvvisazione. Sarà più insopportabile vedere una classe dirigente pubblica e privata non all’altezza delle nuove sfide. Il tessuto commerciale risentirà dai cambiamenti legati alla crisi. C’è stata una alfabetizzazione compressa in due mesi: la gente ha imparato ad acquistare sul web. E questo per alcuni settori sarà devastante. Eppoi lo smart working: è una esperienza da contenere che all’inizio della crisi è stata enfatizzata troppo, così come l’eccesso di “streaminghizzazione” della cultura. Cambieranno i modelli di consumo, ma alcuni prodotti rimarranno ancorati all’esperienza di viverli sul posto. L’Umbria può fare la sua parte».
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