Giannangeli, le imprese chiedono di lavorare.
«Col fenomeno coronavirus dovremo conviverci e chiediamo che tutte le imprese riaprano, a partire dal manifatturiero che rischia di perdere clienti e un’intera stagione. Nella moda quella estiva è compromessa e l’autunno-inverno rischia di saltare se non partono i campionari. Va sbloccata anche l’edilizia che da aprile a settembre realizza il 70% del fatturato e rischia di perdere un anno di lavoro, affossando l’intera filiera».
Cosa proponete per accelerare i tempi?
«In base alla fase due nazionale, a livello regionale bisognerà coordinare le attività necessarie per la ripresa. Pensiamo a un tavolo di coordinamento sulla sicurezza sanitaria nel lavoro, composto da parti sociali ed enti di controllo, che armonizzi regole e aspetti organizzativi. Questo affinché le aziende adottino protocolli di sicurezza sulla base di linee guida condivise e con dispositivi di protezione disponibili. L’alternativa è una ripartenza “a strattoni” nella quale non tutti rispettano le regole, rischiando di ridare spazio al contagio».
Questo varrebbe anche per i servizi alla persona?
«Sento dire che saranno gli ultimi perché non rispettano le distanze: ma se indossano guanti e mascherine, sterilizzano gli strumenti e ricevono solo su appuntamento? O è meglio farsi fare i capelli da un abusivo che gira per i palazzi?» .
Sono sufficienti le misure per sostenere la liquidità?
«Vanno nella giusta direzione, ma le procedure vanno semplificate e si è persa un’occasione per valorizzare i Confidi che, tuttavia, pensiamo saranno richiamati in causa. Il sistema bancario regionale da solo non credo possa, in poco tempo, garantire migliaia di finanziamenti al giorno. Come Confidi, a breve proporremo strumenti innovativi».
Sul versante fiscale bastano sospensione delle scadenze ed eliminazione del limite di fatturato?
«Se pensiamo alle imprese rimaste chiuse, no. A partire da quelle turistiche che dopo aver saltato la stagione pasquale e con una stagione estiva ai minimi termini all’orizzonte, non potranno sostenere la tassazione locale, che resta elevata. Come potranno pagare l’intero carico di Imu e Tari? Per ridurre la pressione fiscale, il governo potrebbe consentire ai Comuni di utilizzare il fondo svalutazione crediti di dubbia esigibilità: rischia di essere alimentato da importi che le imprese non potranno pagare mai».
Un altro scoglio resta la burocrazia.
«Si parla di semplificazione da oltre vent’anni e ora sarebbe decisiva per l’edilizia che, con export e manifatturiero in calo, turismo meno incisivo sull’economia regionale, può essere l’unico settore anticiclico. Ma vanno snellite le norme sugli appalti pubblici (sospensione codice) e gli enti locali dovrebbero adottare procedure semplificate per l’affidamento dei lavori cantierabili. Se per autorizzare un nuovo edificio servono due anni e per costruirlo otto mesi, certe tempistiche restano incompatibili».
L’emergenza sanitaria ha rilanciato la digitalizzazione.
«Il sistema imprenditoriale si sta digitalizzando per necessità e anche dalla pubblica amministrazione vediamo una risposta diversa: ci sono strutture che fino a qualche settimana fa funzionavano al rallentatore e oggi sono realmente operative. Anche il settore pubblico si sta adattando a una situazione che richiede tempi più stretti».
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