Concorsopoli, sceneggiata al processo: «Per trovare lavoro a mia figlia ho chiesto a chiunque. Loro? Li aspettavo sotto l'ufficio»

Concorsopoli, sceneggiata al processo: «Per trovare lavoro a mia figlia ho chiesto a chiunque. Loro? Li aspettavo sotto l'ufficio»
di Egle Priolo
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Giovedì 7 Luglio 2022, 21:10 - Ultimo aggiornamento: 21:11

PERUGIA - «Ero disperato. Per trovare lavoro a mia figlia io sono andato dappertutto. Ho chiesto a chiunque, nel pubblico e nel privato. Bocci e Valorosi? Li andavo ad aspettare fuori dagli uffici per chiedere loro di aiutarmi. Se li conoscevo? Erano personaggi in vista, li avevo visti in televisione».

Emerge anche questo, emerge anche la disperazione di un padre e la cieca speranza nel «sistema» dal processo sui presunti concorsi truccati in sanità noto come Concorsopoli. Ieri, infatti, durante l'ennesima udienza nell'aula del Capitini per parlare della prova di idoneità per le categorie protette, sul banco dei testimoni, chiamato dalla procura, è arrivato l'uomo che avrebbe provato «in tutti i modi» ad aiutare la figlia. Tanto da presentarsi sotto le varie sedi di lavoro di alcuni degli imputati del maxi processo pur di trovarle un'occupazione stabile. Un'ossessione tale da parlarne con amici e conoscenti, fino a chi gli avrebbe fatto il nome proprio dell'ex sottosegretario al ministero degli Interni e dell'ex direttore amministrativo del Santa Maria della misericordia, entrambi in aula per difendersi dalla ricostruzione dei pm Mario Formisano e Paolo Abbritti che contestano anche a loro l'accusa di associazione per delinquere. L'uomo ha confermato i suoi drammatici tentativi, in una rivisitazione perugina di qualche commedia amara di Eduardo De Filippo. Ma davanti ad alcune reticenze e non ricordo ha fatto perdere la pazienza al presidente del collegio Marco Verola, che chiedeva conto di come e perché fosse arrivato a chi è accusato di aver fatto parte di quella «rete di sistema». «Non ricordo. Io ne parlavo con tutti. Ma si sa che se sei nessuno – è la stringata sintesi della sua testimonianza – devi andare da chi conta. Ha sempre funzionato così. Io ero disperato, sono andato via di testa. Per i figli si farebbe qualunque cosa. Valorosi? Lo aspettavo sotto il Chianelli, ci andavo dopo che avevo curato gli orti dei pensionati. Cosa mi ha risposto Bocci? Che non poteva aiutarmi perché fuori dai giri». Un'ammissione del sistema secondo l'accusa, la prova che non ci fu alcun interessamento secondo la difesa. Di certo, un'altra udienza frizzante, in cui il nervosismo in aula inizia a farsi palpabile.
Tanto che la precedente e ben più pesante testimonianza è passata quasi come un mero aperitivo.

A raccontare di tracce passate e di segnalazioni è stato infatti Roberto Ambrogi, già dirigente amministrativo dell'ospedale di Perugia, chiamato in causa all'inizio dell'inchiesta e che ha patteggiato quasi due anni fa. Ambrogi ha confermato al collegio quanto dichiarato nel 2019, a partire dalla nomina nella commissione di due prove per le categorie protette fino alle richieste delle tracce dagli allora vertici dell'ospedale, «pressati» da chi avanzava le segnalazioni. Con le tracce d'esame consegnate «alcuni giorni prima» della prova scritta e la consegna delle domande dell'orale, in passaggi addirittura ripresi dalla guardia di finanza. Per alcune persone gli allora direttori generale e amministrativo avrebbero dimostrato «premura»: le stesse però escluse per non aver sostenuto una prova accettabile nonostante l'aiutino. A verbale anche le liti per il pagamento della bonifica degli uffici della direzione infestati dalle cimici messe dagli investigatori, tra le pressioni per farle pagare all'Azienda e la necessità espressa da Ambrogi di avere una delibera come pezza d'appoggio per la spesa. Particolari già emersi in corso d'indagine e che il dirigente ha confermato, mentre si torna in aula anche oggi per una nuova puntata del maxi processo in cui le difese sono certe di poter dimostrare l'estraneità dei loro assistiti dalle accuse.

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