Prima contro l'Aids e ora contro il coronavirus: le battaglie e il volontariato di Claudio Gradoli

Prima contro l'Aids e ora contro il coronavirus: le battaglie e il volontariato di Claudio Gradoli
di Nicoletta Gigli
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Domenica 3 Gennaio 2021, 16:16

«Alba la porto nel cuore. Prendermi cura di lei, ex infermiera di 95 anni, sola al mondo, è stato molto più semplice di quel che si possa immaginare. Anche l'esperienza africana in Malawi ha avuto un peso significativo. Quel viale lunghissimo di alberi fioriti blu che mi accolse all'arrivo all'aeroporto di Lilongwe è un' immagine che resta nel cuore». Claudio Gradoli, 67 anni, medico del reparto covid 3 dell'ospedale, ha appena finito il suo primo turno di lavoro del 2021. L'anno appena chiuso l'ha visto in prima linea per mesi.

La lotta contro il coronavirus. Ha superato un brutto infarto che l'ha colpito lo scorso 6 giugno, al suo primo giorno di ferie. Dopo 25 giorni, il responsabile della struttura di pneumologia è tornato in corsia e come fa da tanti anni, le ore libere dalla professione sanitaria, le dedica agli altri. A Terni ma anche tra i dannati della terra, dove ha costruito una struttura per la cura dell'Aids.
Un volontariato, quello che lo impegna da anni con sua moglie, Maria Grazia Proietti, geriatra, portato avanti con la comunità di Sant'Egidio.

Il volontariato in Africa. Un'attività che inizia negli anni 2000 con don Riccardo Mensuali e con l'allora vescovo, Vincenzo Paglia. «All'inizio ci impegnammo nei corsi di italiano che l'università di Perugia organizzava per le matricole delle università pontificie straniere poi ci fu il programma Dream per la cura dei malati di Aids in Africa» racconta.

Per tre anni le sue ferie le passò in Malawi e contribuì alla nascita del primo ambulatorio per la diagnosi e cura dei malati di Aids: «Il covid è la seconda pandemia con cui combatto» dice Gradoli. All'epoca in Africa l'Aids sembrava invincibile ma oggi sono centinaia di migliaia i pazienti seguiti in 10 paesi. «Quel programma aveva un principio: se c'è problema si deve curare come fosse un fratello. Ricordo che nell'ambito di quel programma, da una madre malata nacque il primo bambino sano. Oggi ha 14 anni». Nel cuore del medico che si dedica agli altri ci sono gli anziani. All'inizio con sua moglie e altri volontari della Sant'Egidio iniziò a seguirne alcuni che vivevano soli. Poi, dal 2003, il via alle visite al Tiffany e in due case di riposo più piccole. Il 23 dicembre Claudio è tornato a Collerolletta dopo mesi di assenza per la pandemia ed ha portato i panettoni donati dal reparto di oncologia dell'ospedale: «E' stato un momento emozionante perché da febbraio non ero più andato. Si è stabilito un rapporto di amicizia con alcuni di loro, anche se purtroppo ne sono rimasti pochi di quelli conosciuti allora».

"Nonna Alba". Qualche anno fa Claudio e due suoi amici della Comunità hanno adottato nonna Alba. Sola al mondo, con tanti debiti, è stata aiutata a superare le difficoltà. «Pian piano i debiti sono stati saldati - dice Claudio, che fu il suo amministratore di sostegno. Se n'è andata a 103 anni e resterà sempre nel cuore». Significativa l'esperienza con una famiglia rom che viveva allo Staino: «Gli tolsero i 5 figli il 24 dicembre e le uniche persone che potevano vederli in casa famiglia eravamo io e Maria Grazia. Facemmo un programma di integrazione ma loro non ebbero il coraggio di cambiare. Quando rifiutarono la casa ci siamo rimasti un po' male». Da mesi le giornate tra i malati di covid sono infinite. Come il peso di curare persone che vivono la malattia in solitudine. «Fa impressione sapere che tanti familiari hanno visto un proprio caro salire su un'ambulanza e hanno saputo che non ce l'aveva fatta con una telefonata, senza poterlo rivedere. A fine visita, cerco sempre di chiamare i parenti per rassicurarli».

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