Strage di Bologna, le protezioni di Bellini a Foligno: Menicacci rischia l'incriminazione

Strage di Bologna, le protezioni di Bellini a Foligno: Menicacci rischia l'incriminazione
di Luca Benedetti Giovanni Camirri
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Venerdì 8 Aprile 2022, 07:00 - Ultimo aggiornamento: 19:04

PERUGIA Con la sentenza della Corte d’assise sulla strage alla stazione di Bologna del 2 giugno 1980 che inchioda il quinto uomo alle responsabilità per gli 85 morti e oltre duecento feriti, ritorna in Umbria il sospetto delle coperture nere. Non solo perché Paolo Bellini, condannato mercoledì all’ergastolo, è vissuto a Foligno, dal 1977 al 1981 sotto falso nome, ma perché c’è un folignate che rischia l’incriminazione per falsa testimonianza. 
La Corte d’assise, infatti, ha rinviato al pm gli atti della deposizione dell’avvocato Stefano Menicacci, 91 anni a ottobre, storico esponente della destra, per tre volte deputato dell’Msi. Da valutare l’ipotesi di falsa testimonianza. Dentro a quelle carte che tornano in Procura, i giudici bolognesi ipotizzano per altri anche la frode in processo penale e depistaggio.
Bellini a Foligno sbarcò dal nulla con il nome di Roberto Da Silva, brasiliano, arrivato in città per prendere il brevetto di pilota d’aereo. E proprio da Menicacci venne aiutato a trovare una sistemazione in città. Vita riservata, una stanza fissa all’albergo La Nunziatella (scelto perché costava poco), in pieno centro, fidanzato con una studentessa universitaria che viveva a Fiamenga, si concedeva qualche cena con un avvocato folignate noto per le simpatie di destra. Ma non era Stefano Menicacci.
L’ex esponente del Movimento sociale italiano, durante la sua testimonianza per il nuovo processo per la strage dove morì il giovane ternano Sergio Secci, raccontò che si mosse per Bellini-Da Silva dietro raccomandazioni di altri due ex parlamentari missini, Franco Mariani e Antonio Cremisini. Il senatore Cremisini era un imprenditore che aveva in Brasile piantagioni di caffè.
Nella sua testimonianza, l’avvocato Menicacci ha negato risolutamente di essere stato a conoscenza della vera identità di Da Silva: «Mariani lo sapeva, a me non lo disse». Menicacci ha poi aggiunto di essersi limitato ad accompagnare Bellini a Foligno, dove «si comportò in maniera irreprensibile: pagava regolarmente, si registrò alla Camera di commercio per vendere gioielli, ottenne il rinnovo del permesso di soggiorno e gli fu anche rilasciato il porto d’armi». Un’anomalia, secondo qualcuno, quella del porto d’armi dato senza batter ciglio durante anni difficilissimi. Anche l’amicizia con l’avvocato vicino alla destra avrebbe avuto aspetti da chiarire. Per esempio un viaggio in Brasile. Da Silva, in città, aveva raccontato la storia del figlio senza padre adottato da italiani espatriati in Brasile dove aveva una fattoria con tanto di bestiame. Reggeva anche con l’amico delle cene?
Per le coperture date a Bellini-Da Silva a Reggio Emilia, finirono in carcere due preti, una suora laica e un colonnello. E fu un prete, dopo l’arresto di Bellini all’epoca accusato di un tentato omicidio, che si presentò alla Nunziatella per prendere in consegna una valigetta dell’uomo di Avanguardia Nazionale. Dentro c’erano solo i documenti del brevetto di volo come raccontano gli elementi investigativi raccolti allora dalle forze dell’ordine? O la tonaca è servita per nascondere e portare chissà dove qualche mistero legato alla strage?
Paolo Bellini, a Foligno solo Roberto Da Silva, il brevetto di pilota lo prese veramente: quello di primo grado il 20 dicembre del 1977 e quello di secondo grado il 4 maggio 1978.

L’iscrizione alla scuola di volo folignate è del 25 giugno del 1977 e l’avrebbe consigliata l’ambasciata brasiliana a Roma. Per lui la condanna all’ergastolo, per Menicacci il rischio incriminazione. Ma l’ex esponente missino durante la testimonianza è stato chiaro: «Mi hanno tirato fango perché sono stato il difensore di Stefano Delle Chiaie, dicendo che Bellini faceva parte di Avanguardia nazionale, ma non è cosi».

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