Autofocus: quando l’auto
faceva a gara con le carrozze

Autofocus: quando l’auto faceva a gara con le carrozze
di Ruggero Campi
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Mercoledì 23 Marzo 2016, 18:24
PERUGIA - Oggi l''avventura” in automobile è solo quella patinata e molto glamour della pubblicità che vuole invogliarci all'acquisto promettendoci brividi, imprevisti e emozioni. La televisione ci mostra Suv luccicanti impegnati in safari urbani tra iguane, guadi e leopardi, o su infiniti bagnasciuga deserti al tramonto, anche se la nostra avventura quotidiana, quella vera, è limitata - si fa per dire - a schivare buche e code e a destreggiarsi con una segnaletica stradale datata e imprecisa, sullo sfondo di paesaggi grigi e molto poco accattivanti. Se la nostra robusta e tagliandata automobile si dovesse mai fermare, una chiamata al cellulare e il soccorso ACI si materializzerebbe dappertutto, mettendo fine in pochi minuti all'avventura/seccatura.

Ma una volta? Mi è capitato di leggere le memorie inedite di un N.H. perugino che di avventura, a due passi da casa (oggi si direbbe), doveva saperne qualche cosa. Mi fa piacere - per gentile concessione della Famiglia - riproporne qui qualche brano, perché si tratta di frammenti di storia, e soprattutto di storia automobilistica, della città di Perugia.

“Nelle strade cittadine qualche volta invece della carrozza si adoperava l’automobile. Ne avevamo due. La più vecchia era una De Dion Bouton a due cilindri. La prima era bruttissima ma interessantissima. Era scoperta di un colore grigio e aveva quattro posti. Per proteggere dalla polvere i passeggeri dei sedili posteriori aveva un telone tenuto in alto da due ritti come un sipario di teatro. Per metterla in moto c’era una corta manovella e accanto un’alzavalvole che doveva essere mollato quando s’era impressa al motore una certa velocità di rotazione. Dopo parecchi sforzi per farlo funzionare il motore finalmente partiva con un caratteristico rumore “zin, zin, zin, zin”. Io - precisa l’autore - non ci ho mai viaggiato, eppure Fosco (nome immaginario) dice che con questa auto si andava a Paciano, a Vernazzano e perfino a Iesi, portando però insieme alle due gomme di ricambio una grossa scorta di camere d’aria, di mastice e di toppe. 
Capitavano per andare o tornare da Iesi anche più di sette forature oltre alle normali fermate per aggiungere acqua al radiatore dopo le lunghe salite di Valfabbrica e di Fossato di Vico. Non era poi raro il caso di improvvise panne come si diceva allora. Una volta tornando da non so dove la macchina si fermò per un guasto più complicato del solito.

Stefano lo chaffeur dopo aver aperto il cofano del motore e armeggiato inutilmente per vari minuti, si infilò sotto la macchina per riuscirne coperto di polvere e di morchia esclamando: ‘Na cosa comoda, s’è rotto il coso dei cosi che cosava i cosi.” Sia chiaro, ancora oggi gli Eredi non hanno capito bene quello che si era cosato.
Ma lo Chauffeur era competente e prezioso, senza di lui ben pochi signori si sarebbero avventurati in macchina. Gia' agli inizi del '900 era uscita una fortunatissima pubblicazione Hoepli destinata ai “meccanici chauffeur conducenti di automobili”, “utilissima” - recitava la pubblicita' - a chi avesse voluto ottenere la relativa licenza. Nel frattempo – da quello che il nobile signore ci ha tramandato - non mancavano neanche agli albori dell'automobilismo gli atti di orgoglio e le tacite sfide: “per la ripida salita di Sant’Ercolano a Perugia capitava delle volte che qualche carrozza superasse la De Dion. In simili frangenti se papà era in macchina, si seccava. Preferiva scendere per non subire un simile affronto e faceva a piedi la scorciatoia arrivando al palazzo prima dell’automobile.” Stupendo il ricordo dei viaggi a Roma, citta' con le sue regole tutte speciali, delle spedizioni alla volta del mare, quelle si' veramente off road: “Io sono andato con la Fiat a Roma due o tre volte e mi ricordo che dentro la città si doveva tenere la mano sinistra mentre per tutta Italia era in vigore la destra.
 Di solito verso la fine di giugno o i primi di luglio di ogni anno, la famiglia si trasferiva al mare...Qualche giorno prima del grande esodo, partiva dal palazzo diretta a Iesi una carrozza carica di bagagli con due cavalli, uno attaccato e l’altro scosso per il cambio. Impiegava pressappoco due giorni per compiere i centoventi chilometri di strada, mentre noi in auto circa quattro ore compresa la fermata d’obbligo per il pic-nic in cima al valico di Fossato di Vico. Nel caso non infrequente di una foratura di gomma o nella peggiore delle ipotesi di due, allora il tempo occorrente saliva dalle quattro ore e mezza alle cinque.”

Tutti dovevano essere utili e il proprietario dell’auto – che in quell'epoca molto spesso era senza patente - qualcosa doveva fare: “mio Papà, non sapendo guidare ma volendo rendersi in qualche modo utile, teneva per tutto il viaggio una tromba in mano che attaccava a suonare al momento di superare un carro agricolo o un’altra carrozza. Sorpassare un’altra auto, a parte il fatto che macchine in circolazione ce n’erano pochissime, sarebbe stata pura follia a causa del polverone sollevato che toglieva qualsiasi visibilità. L’unica cosa da fare era fermarsi ed aspettare pazientemente che la polvere si posasse e che l’altra automobile si allontanasse. “ L'inquinamento acustico era l'ultimo dei problemi, ma diciamo che non mancava un velato bullismo: “
Anche l’autista suonava la tromba, anzi non sembrandogli questa sufficientemente rumorosa, aveva applicato vicino al posto di guida una specie di fischietto che agiva mediante il gas di scarico del motore. Tutti e due dunque suonavano a tutto spiano, ma non facevano tanto chiasso quanto quello prodotto dal motore della nostra Fiat che non avendo la marmitta preannunciava il suo arrivo a chilometri di distanza. In epoca più recente a seguito di nuove disposizioni governative in materia di circolazione, si era dovuto applicare la marmitta allo scappamento ma l’uso del silenziatore era obbligatorio solo in città, facoltativo in campagna, e lo chauffeur nei viaggi lunghi apriva lo scappamento perché così la macchina tirava meglio. Per fortuna il rumore della macchina copriva gli insulti di cui eravamo oggetto: potevamo vedere le facce distorte dall'ira e le bocche spalacate dei cntadini che urlavano qualche csa che facilmente immaginabile, certo non complimenti.”

Altro che casali in stile mulinobianco e caprette che ti fanno ciao: i forconi erano veri forconi, gli automobilisti non erano molto amati, la polvere una iattura senza rimedio e bastava un temporale a fermare senza speranza la 'affidabilissima' Fiat . I tempi pero' mutavano rapidamente e il piacere della guida contagiava sempre piu' vaste schiere di appassionati, ai quali era rivolto il nuovo (1915) manuale Hoepli “ad uso dei professionisti e sportsmen che dell'automobile fanno uno strumento utilitario e che per ragioni di convenienza economica o di lodevole spirito sportivo intendono “fare da se'”, senza chauffeur o meccanico.” Su di tutti presto avrebbe vegliato l’ACI che, di lì a poco, avrebbe iniziato a prendere forma...
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