Terni, Ast in vendita. Burelli: «Investimenti confermati, rispettiamo l'accordo col Mise»

Terni, Ast in vendita. Burelli: «Investimenti confermati, rispettiamo l'accordo col Mise»
di Vanna Ugolini
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Giovedì 21 Maggio 2020, 07:59

Partiamo da quelle che sembrano le poche certezze dopo l'annuncio di ThyssenKrupp di voler mettere in vendita Ast o di cederla in partnership. Almeno le certezze di oggi, perchè come si è visto, i fronti cambiano molto velocemente. Per quanto riguarda Ast la Thyssen conferma di voler onorare il patto firmato al Mise, quindi di completare i 60 milioni di investimenti previsti. Conferma di voler andare avanti con il contratto firmato da Tapojarvi, l'azienda finlandese che si è fatta carico di realizzare il progetto di recupero delle scorie prodotte dall'acciaieria. Sui tempi, invece, non si esprime. Quello che viene detto nei corridoi di viale Brin è che «non sarà domani nè dopodomani». Il che, comunque, non depone a favore delle acciaierie ternane. Di solito le vendite si annunciano dopo che sono state fatte.

Abbiamo già visto cosa significa stare sulla graticola durante tutti i mesi del (mancato) passaggio da ThyssenKrupp a Outokumpu, con un management che non poteva prendere decisioni importanti per l'azienda. C'è un altro elemento che non rassicura: il fatto che la Berco di Ferrara e la Thyssenkrupp Rothe Erde di Visano in provincia di Brescia restano alla casa madre. Quindi, sul mercato, di aziende italiane ci va solo Ast, in un momento in cui il mercato è fermo praticamente in tutto il mondo, compreso quello orientale e in cui la domanda di acciaio non tira. Ast poi torna sul mercato in una posizione molto più di debole di 6 anni fa, quando ci fu il ritorno alla casa madre, dopo due anni di trattative con l'Europa e la commissione antitrust che si misero fortemente di traverso contro questa fusione.

All'epoca Ast vendeva in Europa il 40 per cento della produzione, ora solo il 15 per cento, quindi, a colpi di crisi, di colpi bassi e di passaggi di mano, il rischio è che via via le acciaierie diventino poco più che una piccola fabbrica nazionale. E questo rappresenterebbe una ulteriore perdita di ricchezza per il territorio (leggi: impoverimento).
I pessimisti ritirano fuori un'equazione che venne fatta già 8 anni fa, quando cominciò il balletto per la fusione con i finlandesi: la produzione di Ast corrisponde più o meno al surplus di acciaio prodotto in Europa. Dunque, se Ast chiude, le altre aziende che lo producono possono tirare un sospiro di sollievo. Le proporzioni oggi sono un po' cambiate ma il discorso mantiene un suo valore. Basta vedere cosa è successo nella chimica, da Basell in poi, anche sul nostro territorio.

La gara agli scenari. Naturalmente, come sempre succede in questi casi, è partita la gara a chi sa più cose ed è più informato: va detto che nemmeno il ministro allo Sviluppo economico Stefano Patuanelli aveva percepito qualcosa prima di ricevere la telefonata del Ceo Massimiliano Burelli e questo non depone a favore della politica. Sono saltate molte relazioni intermedie che, anche se magari non potevano impedire a un'azienda privata di fare le sue scelte, almeno avrebbero potuto mettere qualche paracadute o sterzare la caduta. In questo momento tutti gli scenari sono buoni: nessuno smentirà un interessamento di Arvedi o di Aperam, il ritorno di Lucia Morselli o piuttosto l'acquisto da parte di un fondo o di una multinazionale cinese.
Il punto, invece, è seguire delle tracce, qualcosa che si muove nei mercati, per capire cosa potrebbe succedere. Impresa praticamente impossibile se fatta da Terni ma meno se si guarda dall'orizzonte dell'Europa. A proposito di Europa, sempre secondo la Thyssen, un'altra certezza sarebbe che tra le situazioni che hanno avuto un peso nel prendere questa decisione che, al momento, per i tedeschi è drammatica (sono in vendita seppure a condizioni diverse, 4 delle cinque divisioni della storica ThyssenKrupp che sta per diventare un gruppo che non si sa bene nemmeno come chiamare, per l'accozzaglia di produzioni che manterrà) sarebbe stati anche la mancanza di risposte efficaci in termini di dazi e, per quanto riguarda il profilo nazionale, gli alti costi dell'energia elettrica. Tornando ai confini nazionali, nella pioggia di dichiarazioni che sono arrivate oggi, di richieste di tavoli di confronto, da parte di politici di ogni ordine e grado (ma dov'erano quando da 40 anni le acciaierie chiedono che venga fatta la bretella a San Carlo e il potenziamento del collegamento ferroviario con Civitavecchia?) ce n'è una che può essere indicata come una traccia: la proposta di Barbara Salmartini, Lega, presidente della commissione attività produttive alla Camera e praticamente di casa a Terni, a cui ha fatto eco, guarda caso, poco dopo anche quella di Catia Polidori, deputata umbra di Fi e poi Fiammetta Modena, anche lei parlamentare umbra di Forza Italia. «Ho presentato un emendamento che inserisce gli asset siderurgici - scrive la Saltamartini - tra quelli strategici, in questo modo lo Stato potrebbe intervenire acquistando quote di capitale o partecipazioni azionarie. Misura che, se approvata, sarà applicabile anche per Acciai Speciali Terni. Lo Stato, in qualità di partner, sarebbe certamente in grado di mantenere la competitività nel quadro internazionale e di sostenere la concorrenza aggressiva del mercato cinese che mina tutta la siderurgia europea». E se il gioco fosse proprio questo? Vendere una parte delle acciaierie a chi, in questo momento, tra Cassa depositi e prestiti e finanziamenti a debito, è uno dei pochi soggetti che potrebbe intervenire nell'acquisto di Ast.

La Germania. Detto questo ci sono da considerare anche almeno altri due elementi concreti. Le trattative con Tata Steel per quanto riguarda la fusione (bocciata anche questa dall'Antitrust) vanno comunque avanti. E la mentalità tedesca poco si sposa con un nuova ThyssenKrupp che, sebbene oberata dai debiti, non avrebbe nè fisionomia nè carattere. Le sorprese potrebbe non essere finite qui e potrebbero non riguardare solo Ast.

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