«Arbitro e specializzando in Medicina Interna ora combatto in prima linea contro il Covid»

«Arbitro e specializzando in Medicina Interna ora combatto in prima linea contro il Covid»
di Lorenzo Pulcioni e Vanna Ugolini
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Sabato 25 Aprile 2020, 10:34 - Ultimo aggiornamento: 13:08

TERNI Dal parquet alla corsia. Guido Giovannetti, arbitro internazionale di basket, adesso è impegnato a fermare il Coronavirus. Il ventinovenne fischietto ternano di pallacanestro, protagonista di accese sfide in Eurocup e nella Final Eight di Coppa Italia, da due anni è specializzando al Policlinico di Bari. Quando è scoppiata la pandemia non si è tirato indietro: «C'era bisogno di riorganizzare i turni nei vari reparti e sono andato a dare una mano. E' stato creato un nuovo padiglione dedicato al Covid-19 dove ci sono tutte le specializzazioni: rianimazione, terapia intensiva, medicina interna e malattie infettive. L'organizzazione dell'ospedale e il rispetto delle misure preventive finora si sono rivelate decisive per evitare la catastrofe che purtroppo abbiamo visto in Lombardia e in Veneto. L'obiettivo è stato evitare che tutti i reparti si potessero contagiare, delineando un confine dove trattenere il virus. Ce la stiamo facendo, ma è ancora presto per cantare vittoria». 
In Puglia, dove l'emergenza è coordinata dal professor Pier Luigi Lopalco, e a Bari dove lavora Guido comincia a fare caldo. I dispositivi di protezione sono necessari ma anche molto scomodi da portare: «Facciamo turni da 6-7 ore al giorno. Indossiamo tre strati di guanti, mascherina, tuta e visiera protettiva. E' così che assistiamo i malati, scriviamo al pc, facciamo tutte le varie operazioni. Non possiamo togliere la bardatura fino a fine turno. E' un'esperienza assolutamente nuova per me. Bisogna evitare di contagiarsi per non dover stare poi in quarantena. Anche qui ci sono stati casi di medici e infermieri che si sono infettati, qualche ricovero ma per fortuna nessun decesso». Le sue doti sul parquet sono lucidità e freddezza, le stesse da usare in corsia: «Vedi situazioni drammatiche, pazienti che arrivano soli e smarriti. Abbiamo una responsabilità medica, ma anche umana. E' capitato di dover ricostruire contatti e relazioni per capire se quel paziente arrivato all'improvviso avesse dei parenti. E mi è capitato dover fare telefonate e videochiamate per conto di anziani malati e farli sentire meno soli. Queste persone hanno contatto solo con noi che siamo totalmente coperti e possono vedere solo i nostri occhi. Ma non mi sento un eroe, stiamo semplicemente facendo il nostro dovere». Anche se il pensiero adesso è sconfiggere il virus, il basket gli manca: «Mi manca il calore del pubblico, le belle partite che regalano emozioni e ritrovarmi con amici e colleghi arbitri, con cui comunque sono spesso in contatto». Emozioni che spera di ritrovare al più presto: «Il basket è stato il primo sport a fermarsi, sospendendo le partite già l'8 marzo. Quando si potrà tornare a giocare? Domanda difficile, perché il basket è uno sport di contatto e che si gioca al chiuso. Saremo completamente al sicuro solo quando ci sarà un vaccino». Nel frattempo la partita che conta è un'altra.

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