Amarcord i focaracci,
le luci di Terni

Amarcord i focaracci, le luci di Terni
di Gian Luca Diamanti
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Lunedì 21 Maggio 2018, 18:31
TERNI Un’altra Terni, neanche tanti anni fa, in questi giorni era infiammata. In tutta la città, ma soprattutto nei quartieri, si gareggiava a fare il falò più grande degli altri: erano i 
focaracci dell’Ascensione. Rito e tradizione di una Terni mezza industriale e mezza contadina, ma con una gran voglia di condividere e divertirsi. In molti li ricordano con passione. Dei 
focaracci di piazza delle Arti è testimone Laura Trappetti, oggi nelle Marche. «Siamo stati fortunati a vivere quegli anni. Era un bel modo di stare insieme». Ma anche Massimo Lesina: «Avevo una finestra su piazza delle Arti e lì sotto facevamo i fuochi dell’Ascensione». E Paolo Cianfoni, che non si sottraeva al salto sul fuoco. «Uno dei più grandi focaracci di Terni era quello in via Buonarroti», racconta Riccardo Pallotta. «Cominciavamo a raccogliere soldi per le fascine un mese prima e compravamo il palo più alto dallo scalaro». «E lo scalaro è ancora lì, in via Pascoli», conferma Alessandra D’Egidio. Poi c’erano i trucchi e i dispetti. Per la questua i ragazzini spesso andavano fuori zona, mentendo sulla collocazione del focaraccio. E ogni banda doveva difendere il proprio mucchio di legna dal rischio che altri venissero a incendiarlo anzitempo. O a bagnarlo con secchiate d’acqua, come racconta Corrado Mazzoli. «Le fascine costavano 30 lire l’una – dice ancora Pallotta - e il giorno prima Franco ci portava con il Fiat 16 a caricare. E noi tutti a cassone». Per Stefano Lupi il focaraccio di riferimento era quello di via dell’Argine. «Colossale – conferma Giorgio Morbidoni - con un pioppo cipressino segato lungo il Nera e trasportato dentro il fiume da un volontario in mutande: roba da galera oggi». Raffaele Nunzi cita il fuoco di Città Giardino, davanti la scuola Donatelli. Giampaolo De Giorgis è testimone del falò di via Timavo: «Che battaglie nel quartiere per difenderlo e cercare di dar fuoco agli altri, serate memorabili». Alessandro Manciucca ricorda il focaraccio di san Valentino appena oltre il ponte di Shangai e quello del Sacro Cuore, negli anni Sessanta; Paolo Luchetti ha memoria del focaraccio di via Martiri della Libertà, dove ora c’è un parcheggio; Michela Paterni di quelli di sant’Agnese. Vincenzo De Gregorio era un protagonista del fuoco di via Tiziano: «Andavamo al cimitero con il carretto a farci dare le ceste di canne dei fiorai da buttare sul fuoco». Marco Diamanti dice che in via Rossini il focaraccio si è fatto fino al 1986. «A Borgo Rivo si andava in giro con le carriole a rubare la legna degli altri», riferisce Roberta Agnetti. Alla fine si saltava il focaraccio ormai consumato, ma ancora vivo, racconta Fernando Pieramati. «Uno spiritoso passò con il motorino, un Garelli, e fu un principio di incendio». Coi 
focaracci di via Umbria stava Simonetta Cola, mentre con quelli di vocabolo Tuillo «con bruschettata finale sulle braci», c’era Danilo Diamanti. Augusto Rossi ricorda i focaracci ai giardini pubblici di Borgo Bovio dal ’73 al ’76. Anche Fernando Sbarzella ricorda Borgo Bovio, «con Stentella e Garrincha che saltavano forte». Roberto Pettorossi accendeva i fuochi di via Romagna, mentre Alessio Patalocco racconta che Zenobio Piastrella (Florio) ne faceva uno in piazza dell’Olmo, “citato” dalle luci nel progetto della nuova piazza. I fuochi di Villa Spadoni restano nel cuore di Luca Paccara, quelli di Cardeto nella memoria di Monica Petronio. «Più che una festa era un rito d’iniziazione», dice la Petronio, antropologa. Un rito collegato al maggio, conferma Rita Castellani. Poi la festa è stata cristianizzata nel giorno dell’Ascensione. «E qualche sabato fa – dice Maria Grazia Proietti un piccolo fuoco dell’Ascensione è stato fatto accanto a San Lorenzo». Forse l’ultimo in una città in cui d’acceso sono rimasti i ricordi e con loro un po’ di brace.
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