Opera di teatro musicale in un atto, dal forte impegno civile, porta la firma dello scrittore e giornalista Sandro Cappelletto autore del libretto, e del compositore Daniele Carnini. La regia teatrale è di Cesare Scarton, la regia televisiva di Maxim Derevianko. Sono affiancati da Michele Della Cioppa per le scenografie, Flaviano Pizzardi per i video e le proiezioni, e i costumi di Giuseppe Bellini; sul podio Gabriele Bonolis dirige l’Ensemble dell’Orchestra Roma Tre e un cast di giovani voci soliste, con i protagonisti Daniele Adriani (Il Presidente Aldo Moro), Sabrina Cortese (La Segretaria), Chiara Osella (Uno Studente), e ancora Luca Cervoni (Il Cardinale/Giornalista II), Clemente Daliotti (Il Politico italiano/un Intellettuale italiano) e Giorgio Celenza (Il Senatore americano/Giornalista III).
Fra gli artisti che sono stati coinvolti nella produzione figura anche Mimmo Paladino che ha disegnato l’immagine dello spettacolo.
Il progetto, che ha riscontrato un importante interesse di pubblico e della critica, ribadisce la necessità di un teatro musicale inteso come strumento di comprensione del nostro tempo, contribuendo anche ad una crescita civile più consapevole e partecipe. Così raccontano gli autori Sandro Cappelletto e Daniele Carnini: «Cinquantacinque giorni. Tanto è durata la prigionia di Aldo Moro prima del suo assassinio. Una primavera negata, come è stata – talora duramente, talora tragicamente – questa che abbiamo appena vissuto, per lo stesso periodo di tempo. Certo le condizioni sono state, per molti, diverse da quell’esperienza di un singolo, un quarantennio fa. Ma abbiamo anche noi avuto modo, anzi l’obbligo, di riflettere sui principi di comunità e di responsabilità, anima del pensiero politico di Moro, che il 9 maggio 1978 furono messi a tacere».
Figura chiave della storia italiana del secondo dopoguerra, Aldo Moro ha sedimentato intorno a sé in questi decenni una ricchissima memoria collettiva fatta di narrazioni, materiali iconografici, elementi simbolici e manifestazioni di riconoscimento e di affetto popolare. Nell’opera non ritroveremo il sequestro, né la prigionia, né la morte, «perché – proseguono Cappelletto e Carnini – la vita di quest’uomo non può essere ridotta ai suoi cinquantacinque giorni estremi, trascorsi in una condizione così crudele di violenza e privazioni. Il nostro punto di partenza è stata una riflessione del Presidente Moro: “Non sono mai cattive le cose che vengono dette con sincerità. Invece, non sono utili le cose che si nascondono, che si riducono a serpeggianti mormorazioni”. Da qui siamo partiti nel nostro lavoro di scrittura e di messa in scena, basato su testi dei suoi discorsi e interviste, su lettere e appunti, inviati e ricevuti, conservati all’Archivio centrale dello Stato».
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