Sanremo 2021, Godano (Marlene Kuntz): «Rinascita? Ipocrisia, il Festival pensa solo ai soldi»

Sanremo 2021, Godano (Marlene Kuntz): «Rinascita? Ipocrisia, il Festival pensa solo ai soldi»
di Mattia Marzi
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Domenica 24 Gennaio 2021, 09:04 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 14:32

«Sanremo della rinascita? È una forma di rassicurazione che non mi piace. Noto da parte di chi sta lavorando al progetto una certa ostinazione nel voler tenere in piedi a tutti i costi il Festival nonostante le oggettive difficoltà legate all'emergenza. In nome di cosa? Della tradizione? Mi fa arrabbiare», dice Cristiano Godano. Con i concerti fermi e la promozione ridotta ai minimi termini, anche il 54enne frontman dei Marlene Kuntz, band simbolo della scena alternativa italiana (oltre trent'anni di attività e dieci dischi alle spalle), aveva mandato un brano ad Amadeus: «È una canzone cantautorale e intimista, una disamina in musica delle difficoltà che la nostra società sta vivendo, con un tono non accusatorio».

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Per Godano, che lo scorso anno ha pubblicato il suo album d'esordio da solista, Mi ero perso il cuore, si sarebbe trattato di un ritorno all'Ariston a distanza di nove anni dalla partecipazione con i Marlene Kuntz con Canzone per un figlio (era il 2012). Il suo nome, però, non è finito nella lista dei 26 big in gara, che strizza l'occhio alla nuovissima scena italiana, tra indie pop, urban e rap: «Con il senno di poi posso dire che la mia canzone lì in mezzo sarebbe risultata fuori contesto».
Perché?
«Mi pare di capire che a Sanremo, quest'anno, trionferà la filosofia dell'andrà tutto bene. E invece non è andato bene un bel niente».
A cosa si riferisce?
«Parlo per il mio settore, quello dello spettacolo dal vivo, uno dei più colpiti dalla crisi. Centinaia di lavoratori stanno attraversando grandi difficoltà economiche. Ma da parte dell'opinione pubblica non sembra esserci alcuna forma di sensibilità nei confronti di una dimensione musicale diversa dal cosiddetto mainstream: a Sanremo avrei portato questo tipo di istanze, con un certo approccio. Invece lì non c'è spazio per progetti come il mio».
Amadeus ha detto che sarà il Sanremo della rinascita anche per il settore: perché tanto scetticismo? C'è ipocrisia?
«Sì. E anche un'endemica incapacità nel saper riconoscere la dimensione del problema. Temo che sia tutto legato al non voler rinunciare ai milioni che l'evento genera».
Se fosse stato uno dei 26 big in gara cosa avrebbe fatto di fronte ad una situazione del genere? Si sarebbe ritirato?
«Non saprei. Però sentirmi un privilegiato mi avrebbe fatto provare disagio nei confronti dei colleghi a casa».
Cosa sta facendo in questo periodo?
«Quest'estate sono riuscito a mettere in piedi un tour nel rispetto delle norme anti-Covid. Ora non posso fare altro che aspettare che riaprano teatri e club. Nel frattempo scrivo articoli, faccio ricerche e studio».
Studia?
«Sì. Mi interrogo sulla reale sostenibilità dell'attuale modello di business della discografia, incentrato sullo streaming: le piattaforme premiano solo il mainstream. Gli artisti guadagnano una media di 0,001 euro lordi a clic se hanno una casa discografica e 0,005 euro se incidono per conto proprio. Se sei il fenomeno del momento e i tuoi pezzi fanno milioni di ascolti è un conto. Altrimenti sei tagliato fuori. Nell'era dello streaming o sei vincente o sei perdente».
E lei?
«Sono un perdente, è chiaro. La mia generazione aveva ideali molto diversi da quella che oggi domina le classifiche: ai nostri tempi si faceva musica per riuscire a farla, non per arrivare a fare i soldi. E la vera prova del nove non erano tanto le vendite, ma i concerti: se riempivi i club funzionavi, altrimenti no. Oggi i nuovi talenti sono meno concentrati sui live e più sull'accumulare milioni di streaming».
Un segno dei tempi?
«Sì.

Ma allora diciamolo: il futuro della musica è il marketing, non l'arte».

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