Sanremo 2021, Beatrice Venezi: «Sì, chiamatemi direttore d'orchestra: la parità è un'altra cosa»

Sanremo 2021, Beatrice Venezi: «Sì, chiamatemi direttore d'orchestra: la parità è un'altra cosa»
di Simona Antonucci
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Domenica 7 Marzo 2021, 08:18 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 07:10

«Sono un direttore d'orchestra, non una direttrice, l'uguaglianza non si risolve con il linguaggio, ma abbattendo i cliché. In un contesto conservatore come quello della musica classica è fondamentale per una donna non essere discriminata. E chiamarla direttrice è quasi una discriminazione perché vuol dire non stare nello stesso insieme di tutti i direttori d'orchestra. È questa la verità». Beatrice Venezi, toscana (conterranea di Puccini cui ha dedicato un album), 31 anni, giovedì sera, sul palco dell'Ariston, in veste di madrina delle Nuove Proposte di Sanremo, ha dato il la a una sinfonia (ben orchestrata alla vigilia dell'8 marzo?) di polemiche.

E lei, che dirige l'Orchestra della Toscana e l'Orchestra Milano Classica, autrice di un libro Le sorelle di Mozart sulle musiciste geniali e dimenticate, rilancia «direttore è un sostantivo che definisce con precisione il mio mestiere, perché c'è una storia dietro.

La battaglia sta nella sostanza, non nella forma. Parità di acceso a certe posizioni, parità di salario e di portare avanti ambito familiare e ambito lavorativo per le donne e per gli uomini allo stesso livello».


E nonostante il tentativo di Ama di smorzare gli acuti con il ritornello «se fosse accaduto in una trasmissione normale nessuno avrebbe commentato», ormai il coro dei social era partito: «Occasione mancata...», «Coraggioso calcio al politically correct», tirando in ballo femminismo, libertà, sessismo ed uguaglianza.
Oscurando i giovani in gara, tutti ieri si sono occupati di lei, linguisti, deputati, colleghi e opinionisti: tra i più giovani direttori d'orchestra donna d'Europa, si è però parlato poco di musica e molto di sessismo.
«Mi assumo la responsabilità di quello che sto dicendo. Direttore. Direttrice, sindaca, ministra... non capisco quale sia il motivo di sottolineare il genere».
Eppure, lei, la sua femminilità l'ha sempre portata sotto i riflettori.
«Non ho voglia di travestirmi da uomo per dimostrare che so dirigere un'orchestra. Non serve lo sguardo accigliato per essere autorevoli. E chi l'ha detto poi che una figura cristallizzata sia sinonimo di professionalità? Rifiuto gli stereotipi della musica classica, un mondo sostanzialmente maschile, e ai pregiudizi rispondo salendo sul podio con la gonna».
Però, poi, è stata spesso giudicata più per i suoi capelli (è testimonial di una linea di prodotti) e per gli abiti da sera che per le esibizioni sul podio (nonostante il curriculum). Perché?
«Non mi criticano per come dirigo, ma per le copertine di moda, gli abiti. E comunque c'è sempre una gran cattiveria nel giudicare le donne. Bella e brava è un binomio che agli uomini fa paura e non si riesce neanche a immaginare con quale volgarità di espressioni reagiscano. A proposito di linguaggio, non si fa altro che fare riferimento agli attributi. Ce l'ha? O non ce l'ha? E certamente non si parla di attributi che appartengono alle donne».
Giovedì, con folgoranti mise, era a Sanremo anche per coronare un suo sogno: portare fuori dalle accademia la sua musica.
«Mando avanti le mie battaglie da quando ho cominciato a fare questo lavoro. Voglio dimostrare che la musica classica è sinonimo di libertà e non di costrizione. Abbattere dall'interno i cliché e avvicinare i giovani a questo mondo di bellezza e di valori. Renderla più democratica, parlandone anche sui social, sulle riviste e in tv».
In una precedente intervista aveva detto: pur di divulgare Verdi e Puccini andrei anche a Sanremo, ma se già così mi criticano, se mi presentassi a un festival, mi si chiuderebbero tutte le porte. E ora?
«Fortunatamente non mi hanno chiamata sul palco dell'Ariston per dirigere il pop. Anche se mi sarei divertita. È stata l'evoluzione di un percorso cominciato in giuria con AmaSanremo, una magnifica esperienza che mi ha permesso di incontrare molti giovani, curiosi, con personalità da costruire, ma carichi di energie e di idee».
Sono i pregiudizi a ostacolare il percorso di un direttore d'orchestra donna, in Italia?
«Fino a poco tempo fa eravamo in tre. Ora mi auguro che ci sia qualche donna in più. Siamo mosche bianche. E siamo lo specchio della società. Nelle aziende è la stessa cosa. Ai vertici non ci si arriva. E la bacchetta è un simbolo di potere. L'uomo non la cede volentieri».
Nel mondo del pop è così?
«Un po' meglio. La musica leggera è per tradizione trasversale».
Le sue battaglie le manda avanti anche su Intagram: ha riscontri?
«Sì, rendo normale un mondo considerato di difficile comprensione, antico».
Con 50mila followers come fa a difendere la sua vita privata?
«Basta restare nell'ambito della professione».
Però una volta si è lasciata sfuggire che le piacerebbe diventare mamma: un direttore con il pancione?
«Non è una figura che appartiene all'immaginario collettivo. Non so se esistano dei precedenti. Ma sì è vero. Vorrei un figlio. E continuerei a dirigere anche con il pancione».

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