Roma di piombo, la docu-serie sul terrorismo. Il regista Di Giorgio: «Oggi il conflitto sociale è sui social»

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Sabato 10 Settembre 2022, 15:00 - Ultimo aggiornamento: 15:39

C'è anche il racconto di Cristiana Mangani, nella redazione della cronaca di Roma de "Il Messaggero", tra le testimonianze di un pezzo di storia importante d'Italia. Testimonianze unite dal filo di Francesco Di Giorgio, il regista di "Roma di piombo" la docu-serie Sky Original che sarà trasmessa questa sera 10 settembre. In occasione del 40° anniversario dalla morte del Generale Dalla Chiesa, ecco il diario di una lotta (realizzata da Ballandi, dal 10 settembre alle 21.15 su Sky Documentaries) sul conflitto tra lo Stato e le Brigate Rosse a Roma nei dieci anni successivi all’assassinio di Aldo Moro.

Questa sera riavvolgiamo indietro il nastro del tempo. Come è riuscito ad annodare momenti così complessi nel racconto televisivo?

"La prima questione che mi sono posto è stata come affrontare un tema, quello delle BR e  di tutto ciò che ruota intorno al caso Moro, già battuto in ogni chiave: cinematografica, televisiva, giornalistica. Accanto al lavoro di Marco Pisoni e Michele Cassiani di tessitura e ricostruzione, ho pensato di viaggiare su un piano narrativo al di là del tempo che mettesse in relazione il presente dei protagonisti al passato della storia: sia loro che del paese. Ci sono stati più momenti in cui mi sono domandato cosa stessi facendo, adesso solo lo spettatore potrà darmi una risposta".

 


Siamo a pochi giorni dalle elezioni, il clima è rovente ma fortunatamente non come gli anni '80

"Non so quanto questo possa essere letto come un dato positivo. Non vorrei suonasse  come un "si stava meglio quando si stava peggio" ma credo sia indubbio che oggi il conflitto sociale si sia affievolito a favore del confronto sui social, ovvero un'arena dove chiunque si può arrogare il diritto di dire qualsiasi cosa senza però assumersene le responsabilità". 


Da un lato i carabinieri della Sezione Speciale Antiterrorismo di Roma, dall’altra i brigatisti. Come hanno raccontato le loro storie?

"Due approcci completamente diversi che, secondo me, non derivano solo dalle posizioni apparentemente opposte ma da formazioni spirituali e formali completamente diverse. Premesso che in questo lavoro per poter sfiorare il cuore di certi temi devi riuscire a conquistarti la fiducia dei tuoi interlocutori, c'è da dire che nel nostro caso gli ex brigatisti guardavano ormai con una certa distanza i fatti anche riconoscendo i confini e i limiti di quella che per loro è stata una lotta. Dall'altro lato invece, gli ex carabinieri sembravano sentire ancora molto vicina quell'esperienza pur mantenendo il contegno classico dell'arma.
Da questo punto di vista è stata una sfida interessante quella di riuscire a rompere in parte quel guscio di formalità che permeava alcuni ex membri del nucleo antiterrorismo".


Chi ha vissuto quegli anni farà un salto indietro, in un mare di emozioni. Ha pensato anche al pubblico più giovane e alle loro reazioni?

"Francamente no. Mi piace realizzare quello che sento e che "vedo" in quel dato momento o lavoro. Tengo più alla visione in sè che al come verrà vista".

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