Morgan contro i "potenti" della tv: «Quelli che comandano mi fanno la guerra»

Morgan contro i "potenti" della tv: «Quelli che comandano mi fanno la guerra»
di Mattia Marzi
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Domenica 15 Settembre 2019, 12:43 - Ultimo aggiornamento: 14:38

Morgan è un fiume in piena. Per il cantautore brianzolo, che sempre più spesso, ormai, fa parlare di sé per vicende che con la musica c'entrano poco (il pignoramento della sua casa di Monza è solamente l'ultima, in ordine di tempo), le interviste sono anche e soprattutto un modo per sfogarsi. Non pubblica un disco di inediti da più di dieci anni e le partecipazioni come giudice a X Factor e Amici lo hanno di fatto reso più un personaggio televisivo che altro. Però ora c'è un nuovo impegno di cui parlare: è Cantautoradio, il programma radiofonico da lui condotto su Rai Radio2 ogni sabato sera, per otto puntate (la prima è andata in onda ieri). Un viaggio nella storia della canzone d'autore, a partire da De André.

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C'è un motivo particolare per cui ha scelto di dedicargli i primi due appuntamenti?
«De André è un cantautore che sa essere sempre attuale. Il suo è un messaggio profondo, molto etico. Cristiano, direi».

Addirittura?
«Sì, assolutamente. De André è un vero cristiano. Nel senso cristologico del termine, non in quello cattolico. Trovo che nelle sue canzoni ci sia una profonda umanità e oggi più che mai ne abbiamo bisogno».

Quale sarà il suo obiettivo con questo programma?
«Il messaggio che voglio far passare è largo, spero arrivi tanto ai giovani quanto agli anziani. Ai miei concerti c'è gente di tutte le età ed estrazioni sociali: non sono Sfera Ebbasta, io».

Non sia polemico.
«Non lo sono. Semplicemente, ci tengo che quello che faccio venga compreso da tante persone. Le puntate di questo programma non sono esegesi per addetti ai lavori o analisi per universitari».

A proposito di Sfera Ebbasta. Qualcuno dice che i rapper oggi riescono a raccontare quello che un tempo narravano i cantautori, storie di disagio e di emarginazione.
«L'hip hop italiano ha avuto un buon momento, ma ora si è stabilizzato. E comunque i rapper sono troppo legati alla realtà, invece il cantautore è ancorato al sogno, all'utopia».

Crede che le canzoni oggi possano ancora avere una funzione sociale?
«Ormai la parola sociale è andata a farsi fottere, ha perso di senso. Rimanda ai social network, che però sono l'anti-sociale. Ha ancora senso parlare di cantautori socialmente impegnati, oggi?»

Qual è il filo che lega gli artisti di cui parlerà nel programma?
«Il senso di libertà e di fiducia nell'uomo».

E lei si sente libero?
«Io sono estremo nella mia libertà. Dico quello che penso. Nessuno è in grado di farlo. I politici non dicono quello che pensano, i miei colleghi dicono solo quello che conviene. Io sono un rompicoglioni, uno scomodo. Uno che è meglio non averlo intorno».

Non faccia la vittima.
«È la verità. Hanno provato a disabilitarmi in molti modi, a partire da quell'intervista sulla droga. I giornali mi hanno triturato. Forse si sentono minacciati dal mio senso di libertà, ma a me non interessa il potere».

A chi si riferisce?
«A quelli che comandano in tv, nell'intrattenimento. Mi fanno la guerra. Ma perché? Una volta che sarò morto cosa ci avranno guadagnato?».

Però in tv ci è stato, anche in tempi recenti.
«La Rai è un ambiente sano: è molto più professionale di tutti i privati messi assieme. Quelli fanno solo clientelismo, senza meritocrazia. Però non mi danno un programma tutto mio: neanche i miei amici direttori, come Campo Dall'Orto, Dallatana o Freccero, sono riusciti a farmi lavorare. Secondo me mi sopravvalutano».

Però deve ammettere che lei è un personaggio un po' difficile da gestire.
«Girano un sacco di voci su di me. Dicono che sono inaffidabile, che faccio scenate: falsità».

E qual è la sua versione di Morgan?
«Sono una persona docile e collaborativa. Soprattutto, quando lavoro sono uno stacanovista».

Non pubblica un nuovo album da più di dieci anni.
«Nell'universo musicale di oggi non mi ci ritrovo. Sono tutti alla ricerca del successo del momento. Le cose a cui sto lavorando sono fuori dagli standard. Nel mio rapporto con la musica ho rivoluzionato tutto: lavoro come se fossi Stockhausen. A me ora interessa quel tipo di indagine musicale: il pop è una roba da dementi».

Quest'anno l'abbiamo vista a Sanremo insieme ad Achille Lauro: si è divertito?
«Mi ha ricordato la mia partecipazione con i Bluvertigo nel 2001, si è presentato con l'atteggiamento giusto. Andare a Sanremo è come andare nel paese delle meraviglie, vedi il mondo attraverso le lenti dell'ottico di De André: Vedo gendarmi pascolare, donne chine sulla rugiada... (canta)».

Parlerà anche dei cantautori contemporanei nel suo programma?
«Certo, racconteremo i nomi tutelari e il modo in cui hanno ispirato le generazioni successive».

Chi le piace dei giovani?
«Calcutta, Motta. E anche qualcosa dei Thegiornalisti».

Chi l'avrebbe mai detto.
«Era una provocazione (ride)».

 

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