“Paragoghè” di Baliani su Rai5
drammaturgia sulle stragi italiane

Il regista Marco Baliani
di Katia Ippaso
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Sabato 23 Maggio 2020, 16:59 - Ultimo aggiornamento: 21:32
«Giovanni Falcone l’ho conosciuto a Palermo. Era il 1981. Un amico psicologo mi portò a casa sua per raccontargli il nostro progetto di formazione universitaria nel campo della psicologia sperimentale. Lui ci ascoltò attentamente. Era esattamente l’uomo che immaginavo che fosse: intuitivo, curioso, animato da una profonda sete di conoscenza». A parlare è Marco Baliani, narratore, attore e regista, autore dello spettacolo Paragoghè, prodotto da Marche Teatro, drammaturgia di Maria Maglietta e musiche di Mirto Baliani, che vedremo stasera in forma di ricostruzione documentaria con la firma di Angelo Loy: alle 22.40 su Rai 5.



«Il 23 maggio del 1992, il giorno della strage di Capaci, in cui morirono il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta, avevo appena incontrato i parenti delle vittime della strage di Bologna. Mentre pensavo, con grande turbamento, a quello che mi avevano appena detto su quel terribile 2 agosto del 1980, ascoltai per radio la cronaca della strage che si era appena consumata a Capaci. Come è naturale, le vicende acquistano una tonalità emotiva differente se la persona coinvolta l’hai anche conosciuta. E’ stato uno dei giorni più angoscianti e cruciali della mia vita» continua Marco Baliani, che alle stragi italiane ha dedicato gran parte della sua carriera artistica, a partire da Corpo di Stato dedicato alla figura di Aldo Moro, per finire, appunto, a Paragoghè, che le stragi italiani le attraversa tutte, utilizzando il filtro della drammatizzazione scenica. Lo spettacolo nasce esattamente un anno fa, il 23 maggio del 2019, presso il Tribunale di Ancona, come momento finale di un percorso formativo condotto da Baliani. «Con Velia Papa, direttrice di Marche Teatro, abbiamo pensato che sarebbe stato importante avere una narrazione documentaristica di quelle tre repliche, e così abbiamo chiesto ad Angelo Loy di seguirci per tutto il percorso. Il suo lavoro nasce quindi dietro le quinte e registra i momenti più importanti del lavoro con i 16 attori, aggiungendo il suo sguardo di cineasta all’opera teatrale».



Ma cosa significa “Paragoghé”? Perché un titolo in lingua greca? «E’ una parola importante che si avvicina alla nostra parola “depistaggio” ma con ancora più precisione ci aiuta a descrivere l’opera di “sviamento”, di insabbiamento della verità. Dalla prima strage di Piazza Fontana alla Banca dell’Agricoltura il 12 dicembre del 1969, passando per Piazza della Loggia a Brescia, il 28 maggio del 1974, per arrivare a quel terribile 1992, in cui a distanza di soli 57 giorni persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, senza trascurare gli attentati del 1993, tra cui quello a Firenze di via dei Georgofili, ecco tutti questi fatti di sangue non hanno ancora trovato la loro verità. Lavorando con ragazzi di vent’anni, mi sono accorto che sapevano pochissimo di quegli omicidi, e che era importante quindi disseppellire questi corpi insepolti».



Simbolicamente, il docufilm di Angelo Loy inizia con una inquadratura dall’alto. Ragazze e ragazzi seduti in cerchio parlano nel parco del Tribunale di Ancona. La camera si avvicina e si dispone a seguire sette fili narrativi diversi. Tutti partono da un’unica, potente immagine: un uomo incappucciato fa un doppio salto mortale e, caduto a terra, si mette a pulire con furia il pavimento. Un gesto che viene replicato all’infinito. Quante parole segrete ci sono volute, quanti gesti, quanti silenzi, per depistare le indagini sulle stragi italiane? «Il mio testo si basa su immagini originali e su materiali processuali» conclude Baliani. «In mezzo, ci sono i versi di Jacques Prévert che parlano di sangue e di morte. Il sangue si rapprende. Le vite spezzate diventano ruggine». Mentre sullo schermo scorrono le immagini di repertorio di tutte le stragi che non hanno ancora avuto il loro momento di catarsi.


 
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