Il premio Montagnier: «La mia sfida contro i virus»

Il premio Montagnier: «La mia sfida contro i virus»
di Carla Massi
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Mercoledì 20 Marzo 2013, 15:35
Ottanta anni, francese, virologo, nell’83 individu per primo il virus dell’Aids. Una scoperta all’Istituto Pasteur di Parigi che lo ha portato, nel 2008, a vincere il premio Nobel per la Medicina.

Oggi sarà in Campidoglio a festeggiare il decennale della Fondazione Veronesi. Verranno consegnate borse di studio a giovani ricercatori. Se ci si rallegra all’idea di vedere insieme i due “grandi vecchi” della Scienza contemporanea sorride e corregge. «Diciamo che Umberto Veronesi ed io siamo due anziani della Scienza. Che hanno ancora molto da dire e da fare. Per esempio diffondere la cultura scientifica che vuol dire conoscenza, ricerca, prevenzione».



L’Aids attacca il sistema immunitario e il cancro spesso insorge quando si è più deboli. Ci sono legami tra queste due grandi patologie dei nostri giorni?

«Parliamo di malattie lontane tra loro eppure hanno un minimo comune denominatore. Sia il virus Hiv che le cellule tumorali si sviluppano in organismi più deboli dal punto di vista immunitario. Per questo è importante proteggere il proprio organismo per quello che si può».



Vuol dire essere forti nel momento in cui il nemico cerca di entrare? Ma è sufficiente?

«La difesa deve venire anche da noi e dal nostro comportamento. Dal mantenimento delle nostre difese, dall’attenzione verso uno stress ossidativo che è all’origine di un deficit immunitario. Che apre la via a virus e batteri».



Lei ha parlato di maggiore responsabilizzazione dei singoli verso la propria salute, che vuol dire?

«Mi riferisco all’alimentazione, all’attenzione alle onde elettromagnetiche, al proteggersi dalle infezioni, al fare attenzioni al proprio corpo dopo un evento di forte stress, a non rovinare quello che è il nostro materiale genetico con eccesso di droga, alcol e fumo».



Ancora convinto che le nuove generazioni vivranno mediamente fino a cento anni?

«Certo, ne sono certo. Ma dobbiamo farli vivere bene fino a quell’età non con malattie della mente e del corpo. Altrimenti che senso ha?»



E la sua paura per le degenerazioni del cervello come si concilia con la ricerca che continua su virus e batteri?

«Perché ci stiamo rendendo conto che anche queste sono legate ad infezioni che si sono contratte durante la vita o anche durante la gravidanza. Penso all’autismo».



L’autismo?

«Per capire quella malattia come altre del cervello va seguita la pista dell’infezione. Di un batterio e la sperimentazione fatta su 200 bambini ha dato esito positivo. Pensiamo a cure, nei primi anni di vita, a base di antibiotici. E il discorso vale anche per altre malattie».



Significa che lei sta lavorando su test in grado di identificare infezioni che non si sono ancora palesate?

«Sì a test su dna che ci permettano di intervenire in tempo anche su malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson o alcune forme di tumore».



Ci aiuta a capire?

«Ci sono infezioni che si manifestano con stati febbrili e infezioni che invece non si manifestano ma si nascondo in alcuni tessuti e in alcuni organi. Quelli dobbiamo individuare».



Trent’anni fa la sua scoperta, oggi soprattutto i giovani credono che l’Aids sia stato sconfitto. Qual è il suo messaggio?

«Che i farmaci permettono di convivere con il virus ma gli effetti secondari sono molti. Piegano il fisico e la mente. Ragazzi proteggetevi! Il virus continua a circolare e, secondo lo stato dell’organismo, si sviluppa in un modo o in un altro».



Non si può parlare di guarigione, vero?

«Le riserve del virus si annidano in diverse parti del corpo e diventano resistenti anche ai farmaci. Si cerca di batterle ma ancora non ci siamo riusciti».
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