Canale di Suez, invasione di specie marine dannose per l'ecosistema mediterraneo

Canale di Suez, invasione di specie marine dannose per l'ecosistema mediterraneo
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Lunedì 24 Agosto 2015, 16:31 - Ultimo aggiornamento: 27 Agosto, 15:07
Da circa due settimane nelle acque del Mediterraneo è in atto una lenta, silenziosa e pericolosa invasione. Niente a che vedere con i massicci flussi di migranti che dalle coste della Libia si avventurano verso il largo, nella speranza – spesso assai debole – di approdare ai porti siciliani. Stiamo parlando di varie specie marine, tra cui pesci, meduse, alghe e parassiti, che attraversano il nuovo Canale di Suez (inaugurato lo scorso 6 agosto) e si diffondono nel Mediterraneo, colonizzandone l’ecosistema e mettendo a rischio il suo equilibrio.



L’imponente via d’acqua “donata” dall’Egitto al mondo, secondo la formula retorica scelta dal regime del generale Al-Sisi, è stata raddoppiata in larghezza e profondità ed ora consentirà il transito di quasi 100 navi al giorno (finora erano massimo 50). Ma, ad esse, si affiancheranno specie marine di varia provenienza, che potranno istallarsi, ancor più che in passato, nel Mediterraneo, invadendo i suoi bacini e minacciando l’esistenza delle specie autoctone. Intanto, un coro di scienziati ed esperti ha lanciato l’allarme: «Ci preoccupa che l’ampliamento del Canale faciliti l’ingresso nel Mediterraneo di specie del mar Rosso e dell’Oceano indiano» avverte Bella Galil, biologa marina dell’Istituto nazionale di oceanografia di Israele. In alcuni casi, tutto questo è già avvenuto.



«450 specie di alghe, invertebrati e pesci hanno finora raggiunto le nostre acque attraverso il Canale; di queste, 89 sono state rilevate in cinque o più paesi» continua l’esperta israeliana. È dal 1869, infatti, anno dell’inaugurazione del corridoio marittimo che collega Port Said alla città di Suez, che specie non originarie hanno potuto trasferirsi da un ecosistema all’altro, alterandone l’equilibrio. Sono 700 le specie non autoctone presenti nel Mediterraneo e più della metà hanno utilizzato il Canale per raggiungerlo dal mar Rosso. «Alcune sono velenose, tossiche e dannose dal punto di vista ecologico. Sono una chiara minaccia alla salute umana, al turismo, alla pesca e a qualsiasi istallazione presente sui litorali» aggiunge la dottoressa Galil.



Alcuni esempi: la terribile medusa Rhopilema nomadica, originaria dell’Oceano indiano, raggiunge ogni estate le coste mediorientali e turche, ostacolando la pesca, causando la chiusura temporanea delle spiagge e rendendo più difficili alcuni collegamenti. Vi è poi il Lagocephalus sceleratus (o fugu giapponese), apparso nel Mediterraneo orientale fin dal 2003 e, da allora, estesosi nel mar Nero e sulle coste spagnole. «Rappresenta un grave rischio per la salute: i suoi organi interni contengono una neurotossina che induce la paralisi e che può provocare vomito, blocco respiratorio, convulsioni, coma e persino morte» spiega Galil.



Le minacce da parte di questi invasori non interessano un solo paese: oltre alle meduse e al fugu, sono i pesci del tipo Siganus a preoccupare gli scienziati, finora presenti lungo le coste israeliane e turche, in Grecia e, in parte, tra Italia e Tunisia. Si tratta di specie erbivore che distruggono i fondali, eliminando lo strato di alghe sviluppatosi sulle rocce e, in tal modo, compromettendo la biodiversità di intere zone marine. «Se raggiungessero anche le nostre coste – avverte Enrique Macpherson, biologo del Centro di studi avanzati di Blanes – potrebbero trasformarle in un deserto, come di fatto già accade a sud della Turchia, dove abbiamo effettuato alcuni studi». Il dottor Macpherson aggiunge che vi sono alcune specie di alghe originarie del mar Rosso che si sono istallate lungo le coste iberiche e che ne stanno modificando l’ecosistema, distruggendo e alterando ampie zone. «Hanno colonizzato fondali rocciosi delle Baleari e nel resto della penisola e le si considera come uno dei principali problemi ambientali» conclude il biologo spagnolo.



Il problema legato all’ampliamento del Canale non riguarda solo un aumento del flusso di acqua, ma anche l’incremento del traffico di imbarcazioni da un lato all’altro del corridoio marittimo. L’accusa mossa al governo egiziano consiste nel non aver compiuto una valutazione di impatto ambientale “trasparente e scientifica”, come esige la Convenzione sulla diversità biologica. Silenzio, finora, da parte della Comunità europea: solo un europarlamentare portoghese ha dato risonanza alle preoccupazioni dei biologi marini. Cui non ha fatto seguito alcuna presa di posizione ufficiale.