Safer internet day, gli adolescenti e il disagio che corre sui social

Safer internet day, gli adolescenti e il disagio che corre sui social
di Andrea Andrei
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Lunedì 8 Febbraio 2021, 15:17 - Ultimo aggiornamento: 15:27

Il video sembra uno dei tanti. La musica, i balletti, i filtri colorati, le challenge. Anche le pareti sullo sfondo, a uno sguardo superficiale, sembrano quelle di una normale cameretta da adolescenti, con i disegni e i poster appesi al muro. Lei, Martina (il nome è di fantasia), è una ragazza di 16 anni, con i capelli colorati e le felpe larghe come Billie Eilish, artista simbolo della generazione Z, quella dei nativi digitali. Poi però, emergono i dettagli, inquietanti: il braccialetto dell'ospedale, le cicatrici sulle braccia, le cinghie di sicurezza sul letto. È lei stessa a mostrarle, spiegando che «mi ci hanno legata ieri» e poi ammiccando alla telecamera dello smartphone, facendo il segno di vittoria. Allo stesso modo, con una leggerezza surreale, continua il tour della sua camera, mostra una felpa senza lacci («Ce li tolgono perché hanno paura che li usiamo per farci del male»), gli spigoli protetti dall'imbottitura. Martina è ricoverata nel reparto di neuropsichiatria di un ospedale di Milano, ma è anche - e soprattutto - un'utente di TikTok con oltre 100 mila follower, tra cui molti ragazzi della sua età, che ogni giorno guardano e mettono like ai suoi video. E commentano. «Resisti, anche io sono stato lì dentro», «Sono cose che capitano», «Che è successo stavolta? Vogliamo lo story time (il video-riassunto, ndr)».

E lo story time arriva: «Ho avuto una crisi», risponde lei, «Vedete questa finestra? Ho provato a lanciarmi da qui» con un sorriso e il pollice in su. Altri commenti: «Oddio anch'io vorrei provarci», «Dopo ci provo anch'io». Il profilo di Martina ieri è stato bloccato da TikTok, ma lei ne ha già aperto uno nuovo. È così che il disagio psicologico viaggia sui social. In bilico fra il gioco e la vita vera, tra lo scherzo e la tragedia. Domani è il Safer Internet Day, la giornata dedicata alla sicurezza in rete, istituita dalla Commissione europea. E la storia di Martina è uno degli esempi che dimostrano come gli eventi terribili dei giorni scorsi, come la morte della piccola Antonella Sicomero, che sarebbe avvenuta a causa di una sfida social (anche se per ora dalle indagini non sono emersi riscontri in tal senso) e che ha spinto il Garante per la Privacy a imporre a TikTok il blocco per gli utenti con meno di 13 anni, siano solo la punta di un gigantesco iceberg.

LA CONDIVISIONE


Perché, come spiega Stefano Vicari, professore ordinario all'Università Cattolica e responsabile dell'unità operativa Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, che accoglie proprio i ragazzi con questi problemi, «I social non favoriscono il disturbo mentale, ma nelle situazioni di fragilità possono giocare un ruolo fortemente negativo». «È evidente che qualcosa non funziona nella moderazione e nella condivisione di certi contenuti», osserva Ivano Zoppi, presidente di Fondazione Carolina, che si occupa di sicurezza della rete per i minori e di cyberbullismo, «Ma la responsabilità non è solo dei social, che anzi si stanno mettendo in discussione. È soprattutto dei genitori: abbiamo affidato allo smartphone l'azione educativa». «D'altronde», gli fa eco Vicari, «i genitori sono i primi a utilizzare molto i social, condividendo ogni aspetto della vita, anche i più intimi. Inoltre, un fenomeno estremamente dannoso per i bambini è il cosiddetto "neglect", l'incuria che è assenza soprattutto affettiva come, ad esempio, il fatto che i genitori li lascino per ore da soli davanti alla tv o allo smartphone».

E poi ciò che accade dentro e fuori da quegli schermi sfugge spesso a ogni controllo: per una Martina, che almeno è seguita da una struttura, ci sono migliaia di ragazzi che vivono lo stesso disagio chiusi nelle loro camerette. «Con la seconda ondata della pandemia», racconta Vicari, «abbiamo avuto un grande aumento delle richieste di ricovero. Nel nostro reparto abbiamo 8 posti letto, e in tutto il territorio nazionale ce ne sono solo 92, per cui spesso da noi arrivano ragazzi anche da regioni come l'Abruzzo o la Calabria, che sono meno attrezzate. I posti sono sempre pieni, e abbiamo mediamente due accessi al giorno per casi di autolesionismo o per intenzioni suicidarie. La degenza media di un paziente è di una settimana, durante la quale mettiamo regole ferree: niente smartphone, niente fumo. Anche questo ci ha permesso di ridurre gli episodi di aggressività».

IL SONNO


«Il problema non sono i social in sé, ma l'età degli utenti e l'uso che questi ne fanno», continua Vicari, «I più piccoli, fino a 12 anni, sono facilmente suggestionabili. Hanno bisogno di un controllo più attento. Gli adolescenti hanno più filtri, anche se il pericolo emulazione è sempre in agguato: anche i video di quella ragazza dall'ospedale potrebbero spingere qualcuno ad andare oltre. E poi i ragazzi spesso abusano dei social: uno degli effetti è che rinunciano a ore di sonno per stare sullo smartphone, e dormire poco incide fortemente sulla salute mentale». I disturbi più diffusi? «Quelli dell'umore, che comprendono la depressione. Fino all'8% degli adolescenti ne soffre, e i disturbi mentali iniziano quasi sempre a quell'età, per cui è importante intercettarli finché si è in tempo».

Secondo quanto emerge dalla ricerca realizzata per Generazioni Connesse da Skuola.net, e dalle università di Firenze e di Roma Sapienza, 6 adolescenti su 10 dichiarano di passare più di 5 ore al giorno connessi. Solo 12 mesi fa erano 3 su 10. Un ragazzo su 5, inoltre, si dichiara «sempre connesso». E se a volte i social permettono di diffondere solidarietà, è vero pure che poi le interazioni sulle piattaforme sono ben diverse da quelle reali. «I like e la solidarietà nei commenti non aiutano questi ragazzi a prendere coscienza e a superare i loro problemi. Anzi, in qualche modo finiscono per legittimare certi comportamenti estremi», fa notare Vicari. «Chiediamoci quanto abbia valore un commento di una persona che non ti conosce», sottolinea Zoppi, «un abbraccio vale più di mille like. E i primi follower - reali - dei ragazzi dovrebbero essere i genitori».

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