Maker Faire, Nir Goldstein: «Tecno-bistecche buonissime: il futuro sostenibile per l'umanità è solo con le proteine alternative»

A Roma l'esperto di nuove tecnologie legate alla produzione di cibo che non comporta l'impoverimento dell'ambiente

Maker Faire, Nir Goldstein: «Tecno-bistecche buonissime: il futuro sostenibile per l'umanità è solo con le proteine alternative»
di Paolo Ricci Bitti
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Venerdì 8 Ottobre 2021, 19:16 - Ultimo aggiornamento: 9 Ottobre, 10:54

La metafora è proprio fuori luogo, ma davvero l'israeliano Nir Goldstein ha preso con grande coraggio il toro e le relative mucche per le corna sbarcando in Italia per convincerci ad aiutarlo a farci dimenticare una bella parte del cibo italiano. Quanto bella? Tutto il reparto "Carne" (fresca o insaccata o stagionata) e poi, con ancora più sprezzo del pericolo, altri miti intoccabili come il tiramisù. Mica la voce "varie ed eventuali" dell'italico menù.

«Oh, il tiramisù, ne vado matto, anche in Italia si trova già facilmente quello vegano» dice il 34enne laureato in Legge a Gerusalemme, sul palco di Maker Faire a Roma quale direttore del Good Food Institute che coordina l'ecosistema istraeliano delle proteine alternative. Eccolo là, il cibo alternativo, quello che sembra carne ma che non lo è, quello prodotto in laboratorio, quello che già adesso è perfettamente confondibile l'originale per quanto riguarda il sapore e che presto prestissimo lo sarà anche per quanto riguarda l'aspetto e la consistenza «perché mangiare - dice Goldstein - è un'esperienza completa che coinvolge non certo solo il gusto, la vista e l'olfatto, ma tutto il nostro vissuto».

E lo viene a dire a noi italiani di ciò che rappresenta il cibo e quali emozioni e sensazioni scatena? Sì, lo viene dire a noi perché «l'Italia è la Mecca, insomma il Paradiso del cibo». In altre parole se Nir Goldstein risulta convincente a Roma e dintorni non avrà difficoltà a trovare la strada in discesa nel resto del mondo dove comunque si è già fatto largo, vedi il Nord Europa e l'Inghilterra.

Carne prodotta in laboratorio per salvare l'ambiente

Perché in verità prima di parlare di carne "coltivata", "fermentata" o "vegetale" e di "tecno-cibo" va ricordato che il termine più inquietante è un altro: "obbligatorio". Lo è già adesso "obbligatorio" allestire un mondo alternativo alla carne, ma lo sarà ancora di più quando, entro il 2050, la Terra ospiterà dieci miliardi di individui che non sarà possibile sfamare (non lo è già oggi, purtroppo) se non si smetterà di devastare l'ambiente.

«Attualmente - continua Goldstein - gli allevamenti finalizzati alla produzione di carne contribuisco al 15% delle emissioni di gas serra e sono di gran lunga i primi consumatori di acqua fresca, non riciclata. E poi c'è la questione pesantissima dell'uso di antibiotici che in molte specie ha finito per creare resistenze richiedendo nuovi farmaci che poi finiscono nel nostro organismo. Sono cifre ecologicamente insostenibili già oggi, figuriamoci in futuro, cifre ancora più condannabili grazie alla crescente consapevelezza che la lotta al cambiamento climatico passa in maniera determinante dalla riduzione o dall'abbandono degli allevamenti tradizionali».

Cifre insostenibili e anche poco democratiche perché il consumo di carne è destinato a una privilegiata minoranza dell'umanità mentre le conseguenze della sua produzione vengono scontate da tutti.

Così diventa sempre più superato lo stesso concetto di "veganesimo" più o meno integrale, «senza dimenticare che in particolare fra i Millennials la sensibilità a queste tematiche è in continua espansione. Come dire che, per essere molto concreti, il mercato della carne alternativa c'è già anche perché ad esempio in Oriente c'è una storica tradizione di cibi sostitutivi della carne».

Goldstein parla di "mercato" anche se il Good Food Institute è un'organizzazione non profit con rappresentanze negli Usa, in Brasile, in India, in Europa e nell'area asiatica affacciata al Pacifico. In Israele, 10 milioni di abitanti, all'avanguardia nel mondo, vi sono oltre cento aziende nel settore delle proteine alternative, comprese le prime già quotate in borsa oppure quelle già inglobate da giganti come la Nestlé, e anche in tempi di pandemìa l'incremento è stato persino a tre cifre con il fatturato che è passato da 14 a 114 milioni di dollari. Solo gli Stati Uniti hanno un numero maggiore di aziende di prodotti proteici ottenuti tramite fermentazione: tra i principali sostenitori, e investitori, personaggi come Bill Gates e Leonardo DiCaprio, mentre nel Regno Unito c'è, c'era, in prima fila la principessa Meghan Markle. Secondo Barclays entro il 2030 nel mondo il mercato della carne vegetale o "coltivata", che comprende anche suini, ovini e pollame, raggiungerà il valore di 140 miliardi di dollari, il 10% del marcato della carne tradizionale. 

«Al Gfi - racconta Goldstein - seguiamo e favoriamo gli sviluppi della ricerca e della tecnologia, il settore finanziario e della commercializzazione cercando inoltre di diffondere la cultura della carne e del cibo prodotto in maniera alternativa e rispettosa dell'ambiente.

Poi c'è la collaborazione con il Governo e le organizzazioni internazionali per allacciare nuovi rapporti. In Italia ci sono contatti con l'Università di Bologna e con quella di Roma 3».

Sono numerosi i modi per creare una bistecca alternativa, con "ricette" che possono integrarsi a vicenda. Quelle totalmente vegetali sono state le prime a finire anni fa sulle nostre tavole. Poi ci sono quelle nate da colture cellulare, per le quali si parte da carne vera "coltivata" grazie a cellule di animali che non devono essere macellati. Per la coltivazione vengono usati (Usa, Spagna, Israele e primi passi anche in Italia) anche grandi bioreattori come quelli utilizzati per il vino e la birra.

Fra le ultime arrivate, le bistecche  "stampate" in 3D con lo strumento che crea una fettina sia vegetale sia con intrecci di filamenti simili a quelli delle proteine intracellulari delle cellule muscolari. Si ottiene così una consistenza molto vicina a quella della carne originale.  

Infine la fermentazione usata per produrre cibi proteici senza l'impiego di cellule animale: si parte del processo tradizionale che impiega microbi, lieviti o funghi, per ottenere ad esempio dallo zucchero un sottoprodotto come le proteine che possono sostituire quelle dei prodotti animali. 

Non dev'essere tuttavia facile percorrere la valli italiane del cibo proponendo una bistecca solo vegetale, oppure latte, e quindi anche formaggi, e uova prodotte in laboratorio?

«No, ma al tempo stesso c'è grande interesse perché si calcola che un terzo dei consumatori anche in Italia sia già convinto dell'uso di questo cibo che permette di fornire lo stesso contributo calorico e proteico di quello tradizionale ma senza includere le componenti nocive come ad esempio il colestorolo "cattivo". Presto potremo produrre anche il fois gras senza torturare prima le oche e poi il nostro fegato». 

Ah, non valichi le Alpi, non metta troppa carne al fuoco, resti in Italia con la bistecca di  fibre "fermentate" o stampata di 3D oppure al tiramisù con uova e mascarpone nati «in un gigantesco bioreattore come quelli usati dal produttori di vino o di birra».

Per favore il vino teniamolo ancora fuori.

«Ok, ma guardi che presto anche in Italia apriranno ristoranti pure stellati come in Spagna o a Singapore in cui servono tecno-carne. E anche senza pensare a stelle e chef, ci sono colossi come McDonald's molto interessati ai progressi di queste tecnologie. I rapporti con l'Italia possono diventare preziosi perché in nessun altro paese al mondo c'è una cultura altissima e una tradizione del cibo. Si punta a creare bistecche e hamburger che diano la stessa soddisfazione di quelle originali anche in fatto di aspetto, consistenza alla masticazione e profumo: l'obbiettivo non è lontano. Deve scattare la stessa senzione di quanto arriviamo a tiro di un barbecue tradizionale».

Non potendo ancora fare le grigliate, gli astronauti sono da tempo vostri fans, ma insomma, se torniamo a terra.

«Vero, prodotti di questo tipo sono già nel menù della stazione spaziale internazionale, prodotti che saranno ancora più importanti durante i prossimi viaggi sulla Luna o su Marte: la stampante 3D non farà solo pezzi di ricambio, ma anche il cibo. Ma al tempo stesso immagini la facilità di portare proteine o polveri o componenti vegetali che non hanno bisogno di essere refrigerati da una parte all'altra della Terra, soprattutto dove c'è carenza di cibo».

Sono cibi che permettono anche di superare limiti e divieti imposti da tradizioni e religioni?

«Dobbiamo sempre rispettare religioni e tradizioni e culture di ogni parte del mondo, ma le proteine alternative possono aiutarci a superare alcune situazioni. Ad esempio in Israele abbiamo la macellazione kosher degli animali che è un processo molto doloroso. Con prodotti a base di vegetali nessun animale soffrirà».

Paolo Ricci Bitti

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