Il sociologo della comunicazione Cristante: «Ologramma, un'evoluzione che farà evolvere l'intelligenza»

Il sociologo della comunicazione Cristante: «Ologramma, un'evoluzione che farà evolvere l'intelligenza»
di Raffaele D'Ettorre
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Mercoledì 14 Dicembre 2022, 15:49 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 10:11

Videoconferenze olografiche, messaggi interplanetari, intelligenza artificiale nello spazio.

La comunicazione si sta muovendo in fretta, ma in che direzione? Ne parliamo con Stefano Cristante, docente di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi presso l’Università del Salento.

Professor Cristante, il calendario della storia mediatica è scandito da diverse “fratture” che vanno dall’avvento dei caratteri mobili fino ad internet. Quale sarà la prossima grande frattura che chiuderà l’era di internet?

«Non credo che questa era si chiuderà mai. In base a uno dei principi classici della mediologia, i media si modificano ma non scompaiono. La stessa Rete sta offrendo oggi l’occasione a tantissime esperienze mediatiche (radio, televisione e così via) di riformularsi e reinventarsi secondo i nuovi standard del web. Sicuramente però avremo un’evoluzione ulteriore del linguaggio».

Molti attori hi-tech oggi vedono nell’olografia questa evoluzione.

«L’ologramma è un mezzo che in sociologia viene definito “caldo”, anzi caldissimo, perché ci avvicina alla possibilità di rappresentare l’umanità – e le immagini di cui si serve – in termini sempre più verosimili. D’altronde aggiungere qualità all’immagine è insito nella storia artistica e culturale dell’homo sapiens, e la tridimensionalità è un’aggiunta importantissima».

Perché?

«Perché avere immagini che possiamo quasi toccare mette in moto una vera rivoluzione dal punto di vista mediatico. È un passaggio di intelligenza cognitiva dove le immagini acquistano un potere tutto nuovo capace di cambiare il ruolo stesso dello spettatore».

Cosa succede se alla tridimensionalità aggiungiamo il tatto?

«Il tatto è un senso formidabile, che ci riporta indietro nel tempo verso esperienze ancestrali come il rapporto bambino-madre.

Saper simulare in modo convincente un’esperienza tattile significa fidelizzare l’utente in maniera ancora più profonda».

Il web tende spesso a spogliare l’individuo di sovrastrutture, a far passare il messaggio senza filtri, talvolta in maniera distruttiva (hate speech, fake news). Lei pensa che questo approccio cambierà profondamente con l’arrivo di nuovi linguaggi mediatici?

«In realtà non credo che esista una natura definita e immutabile degli ambienti mediali. Sicuramente oggi ci troviamo esposti a tutti i rischi propri della seconda generazione di nativi digitali, e i problemi che stiamo affrontando devono servire da vaccino per evitarci complicazioni future. Bisogna soprattutto fare in modo che le persone – specialmente i ragazzi – che usano costantemente questi mezzi sappiano quali sono i loro corretti modi d’uso e anche le perversioni di questi modi d’uso, che rischiano di confondere l’esperienza cognitiva dell’umanità di fronte al proprio stesso racconto».

Si riferisce ai social?

«Sì, anche. Ma più in generale - e oggi più che mai - è importante insegnare a raccontare in modo corretto i nuovi mezzi di comunicazione».

Chi deve occuparsene?

«Le scuole, intese come ciclo di formazione continuo, quindi anche le università e i corsi di formazione. Attenzione perché non basta ritirare i cellulari prima dell’ingresso in aula per risolvere il problema. È importante insegnare a tutti, ragazzi e docenti, cosa si può fare con questi mezzi, anzi, chiamiamoli “ambienti”, perché questo sono. E la presenza di questi ambienti è ormai talmente radicata che va presa sul serio, e altrettanto sul serio bisognerà adoperarsi adesso dal punto di vista educativo».

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