L'intelligenza artificiale ora chiede nuove regole, dal diritto d'autore alla privacy

L'intelligenza artificiale ora chiede nuove regole, dal diritto d'autore alla privacy
di Andrea Boscaro
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Mercoledì 15 Febbraio 2023, 12:06 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 07:43

Se da anni l’Intelligenza Artificiale (AI) è presente “dietro le quinte” in molte attività che accompagnano la quotidianità della vita digitale – dall’uso dei motori di ricerca alla consultazione degli aggiornamenti sui social media – negli ultimi due mesi la sua applicazione “generativa” non sta conquistando solo i titoli dei giornali, ma rappresentando, grazie all’offerta di strumenti come ChatGPT, una vera e propria svolta per lo studio, il lavoro, le iniziative di comunicazione delle aziende, lo sviluppo informatico e di conseguenza anche una fase di rivoluzione per le aziende digitali più conosciute come Google e Microsoft.

IL QUOTIDIANO

 Se è lecito attendersi che, nei prossimi mesi, tali funzionalità si diffonderanno nella vita di tutti i giorni per la produttività personale e nell’ambito dei processi aziendali, è opportuno fin d’ora riconoscere che l’addestramento dei linguaggi delle tecnologie di IA e la loro integrazione in applicazioni esistenti pongono nuove sfide nei confronti di molteplici normative, dal diritto d’autore alla privacy, dal contrasto alla contraffazione alla regolamentazione delle recensioni online e minano pertanto un certo e duraturo loro utilizzo da parte delle imprese e delle organizzazioni in generale.

POTENZIALE AREA GRIGIA

 La causa intentata in Gran Bretagna da parte di Getty Images nei confronti di una società che offre la generazione di immagini grazie a IA è particolarmente significativa, perché non chiama in causa l’output che il software consente e il cui utilizzo è responsabilità del singolo fruitore, ma basa la sua accusa sul fatto che la tecnologia è stata addestrata grazie a contenuti di proprietà di Getty Images: l’opacità relativa ai materiali che costituiscono il patrimonio informativo dei modelli di intelligenza artificiale rappresenta, dunque, un’area grigia della norma sul diritto d’autore e ovviamente del suo rispetto.

L’USO DEI DATI

 Allo stesso modo, il fatto che nei 75 Terabyte di informazioni alla base di ChatGPT – e ancor più nelle attuali fasi di aggiornamento e utilizzo – vengano utilizzati dati personali al di fuori della ragione per cui sono stati raccolti solleva più di un dubbio sulla coerenza di AI con le norme sulla privacy.

Se OpenAI, la società che ha sviluppato ChatGPT, pare aver affrontato in modo più deciso, rispetto alle sperimentazioni precedenti, il rischio di fornire risposte sessiste, violente o razziste, grazie all’apporto di migliaia di manual checkers e al loro minuzioso lavoro volto a contrassegnare i contenuti di questo tipo, il rispetto del Digital Services Act andrà poi verificato sul campo, nella quotidiana attività di contrasto a questi fenomeni ai quali sono soggette piattaforme come i social media: recentemente la stessa Twitter non ha superato un test europeo fatto per valutare la sua capacità di ridurre le campagne di disinformazione che circolano in Rete. Allo stesso modo, la trasparenza degli algoritmi e la concorrenzialità delle pratiche imposte dagli obblighi del Digital Markets Act andranno verificate di fronte ai nuovi servizi di consultazione offerti da ChatGPT nel momento in cui la sua diffusione la faccia ricadere fra i gatekeepers riconosciuti dal provvedimento. Fra le norme che rischiano infine di essere messe in discussione proprio all’indomani della loro travagliata nascita vi è quella sull’equo compenso che, nell’ambito della Direttiva Europea sul copyright, si pone il compito di favorire la determinazione certa di una remunerazione per gli editori da parte di questi soggetti – da Facebook a Google – che rappresentano le nuove edicole dalle quali leggere una notizia o approfondire un’informazione.

NIENTE FONTI

 Funzionalità come ChatGPT che si pongono il compito di dare risposte senza indicare né le fonti dei dati né i link dove approfondirli, pur avvalendosene per estrarne il contenuto, hanno infatti frecce puntate contro un modello di business che, pur con i suoi limiti, si pone il compito di supportare la sostenibilità economica di chi le informazioni le raccoglie, le elabora e le pubblica a proprie spese. L’intelligenza artificiale è arrivata ed è qui per rimanere. A farci i conti dovranno essere il mondo della scuola e delle professioni, le aziende e le organizzazioni, ma affinché possano essere individuate modalità per avvalersene in modo duraturo occorre che l’orizzonte regolamentare nel quale essa si dispiega sia il prima possibile diradato dalle nubi che oggi lo sovrastano. 

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