Instragram, Matteo Grandi: «La partita non si gioca più fra reale vs virtuale, ma fra reale vs veritiero»

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di Matteo Grandi
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Mercoledì 14 Aprile 2021, 12:45 - Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 14:53

Che indossiamo tutti una maschera è un fatto che il pensiero moderno ha recepito da tempo. Oscar Wilde, che dall’argomento era molto affascinato, ci ha anche lasciato qualche celebre aforisma a tema: «Date una maschera a un uomo e vi dirà la verità» o «Spesso una maschera dice più cose di un volto». Talvolta la maschera che indossiamo è metaforica, e cerca di corrispondere, in chiave pirandelliana, al ruolo che siamo chiamati a recitare: figlio, genitore, amico, lavoratore. In rete, invece, molte maschere sono tutt’altro che metaforiche: basti pensare agli account anonimi, ai profili fake o ai tanti pseudonimi che spopolano online. Tutte maschere perfette per dire verità scomode o dissacranti. E talvolta anche per degenerare verso derive d’odio e diffamatorie. Ma non divaghiamo. Quello che ci interessa è che la rete rimane uno straordinario terreno d’osservazione delle nostre dinamiche quotidiane e del nostro modo di raccontare noi stessi.

Un dilemma filosofico che riguarda la nostra presenza online, specie di fronte al modo di porci, alle discussioni e agli insulti sui social ruota intorno a un interrogativo al quale non è facile dare risposta: la rete tira fuori il peggio di noi, trasformandoci in quello che non siamo, o invece ci toglie ogni sovrastruttura rivelando chi siamo veramente? Insomma, siamo più noi stessi o meno noi stessi? A questo punto di domanda di stampo socio-filosofico ne fa eco un altro, non meno interessante, dal punto di vista delle dinamiche virtuali: la realtà veicolata sui social è una realtà vera o artefatta? Se consideriamo Twitter e Facebook principalmente due social network d’opinione e di confronto, e concentriamo la nostre attenzioni sul social a cui deleghiamo il racconto della nostra vita, vale a dire Instagram, gli spunti non mancano. Su Instagram parliamo per immagini. E le immagini che usiamo per “funzionare” devono essere belle, accattivanti, emozionanti. Già questo rende il social network una gigantesca finzione, una finestra che lasciamo aperta soltanto sul meglio delle nostre vite: la vacanza, il vestito nuovo, il piatto gourmet. Ma si tratta di una realtà patinata e molto di facciata che in realtà non racconta molto della nostra esistenza, di cui è al massimo un’ostentazione elevata all’ennesima potenza.

E se spostiamo il ragionamento sugli influencer il dibattito rischia di essere ancora più caldo.

Senza andare troppo indietro nel tempo, risalgono a qualche settimana fa le polemiche che hanno accompagnato le prime immagini di Chiara Ferragni dopo il parto della secondogenita Vittoria. I post della neo-mamma perfetta e pettinata hanno scatenato la reazione delle donne “terrene” che non si sono rispecchiate in quelle immagini e hanno scatenato la polemica a tema. Alla querelle social è seguita una Instagram Story della Ferragni con il tiralatte, come a dire “vedete che alla fine sono una persona normale anch’io”. Un bel modo di riconciliarsi con follower e realtà o una nuova operazione di marketing? La risposta al quesito non cambierà la vita di nessuno, ma resta un interessante spunto di dibattito su come vada recepita e filtrata la realtà che arriva dai social. Lo stesso potremmo dire per le tante attività benefiche che negli ultimi mesi numerosi influencer hanno promosso sui propri profili. E ancora una volta potremmo chiederci: nobili benefattori o smaliziati imprenditori di se stessi che hanno usato la beneficenza per fare self-branding? Nei fatti potremmo rispondere con un enorme chissenefrega: se un’operazione è win-win e fa del bene a chi la riceve migliorando l’immagine di chi la propone perché farsi troppe domande? Vero, così come è vero che chi segue gli influencer sui social è convinto di essere parte di un patto di fiducia che implica sincerità di azioni e di intenti. Cosa che, malauguratamente, non sempre accade, lasciando aperto il dilemma e i relativi dubbi su quanto sia vera e quanto sia artefatta la maschera che tanti personaggi social indossano in rete. Ma forse, per avvicinare, anche a livello generazionale, questo mondo a quello di chi ha sempre guardato con diffidenza ai social network, queste dinamiche andrebbero capite ed esplorate più in profondità. Sono aspetti su cui si interroga con leggerezza anche il recente film Sky “Genitori vs influencer” di Michela Andreozzi. Perché ormai la partita non si gioca più fra reale vs virtuale, ma fra reale vs veritiero.

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