Sos boomer, chi educa i creduloni dei social?

Sos boomer, chi educa i creduloni dei social?
di Matteo Grandi
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 15 Dicembre 2021, 11:52 - Ultimo aggiornamento: 16 Dicembre, 11:15

C'era una volta il web libero, aperto, inclusivo. Luogo immateriale che riusciva a livellare le differenze, a dare voce ai più deboli, ad amplificare le denunce.

Ma la rete non è un più un luogo perfetto. Forse non lo è mai stato. Deesto molto è sempre dipeso dall’uso che se ne è fatto. Le premesse così promettenti sono state mano a mano tradite da un utilizzo sempre più distorto e da una diffusa mancanza di cultura digitale. E così internet e i social network sono diventati, sempre più spesso, anche uno snodo di disinformazione e di ritrovo per complottisti, negazionisti e No vax. Un problema che, seppure minoritario, è inquietante e rumoroso. Rumoroso perché questa minoranza fa di tutto per farsi notare, inquinando il dibattito a suon di bufale e screditando chi ha un approccio scientifico. Inquietante perché, seppur minoritario, un certo modus rischia di contagiare chi ha difese immunitarie più basse rispetto alla disinformazione e alle dinamiche dei social.

TEORIE COMPLOTTISTE

Chi non ha un genitore, un nonno, uno zio o una zia che condivide le peggiori panzanate su Facebook e su Whatsapp convinto che si tratti di verità rivelate? Chi non ha un parente o un conoscente che prende per buone bufale e teorie complottiste convinto di aver scoperto i segreti del mondo? Una situazione che oltre a gettare ombre sul dibattito online genera mostri e rischia addirittura di spaccare le famiglie. Con gli auto-proclamatisi detentori della verità pronti a tagliare i ponti e togliere l’amicizia (virtuale ma non solo) ai parenti che si fidano della scienza, dell’informazione mainstream e dei vaccini. Ma come ci siamo arrivati? Come siamo potuti passare dalla condivisione di “semplici” bufale a questo vero e proprio inebetimento da social? In una sua bella e recente intervista, il comico Luca Ravenna, racconta tutto il suo disagio, divenuto anche uno spettacolo, nell’avere una mamma No vax. Posizioni sulle quali secondo Ravenna è stato decisivo il ruolo del web. Che amplifica la difficoltà di confrontarsi in modo razionale con chi è convinto dalla propria bolla social di essere nel giusto e di dover contrastare un complotto mondiale ordito ai danni dell’umanità. E a proposito di mamme No vax e di famiglie spaccate: ha fatto piuttosto scalpore nelle settimane scorse una sentenza del tribunale di Parma che, a metà ottobre, ha dato il via libera alla vaccinazione anti-Covid per due fratelli adolescenti con il solo consenso del padre nonostante la contrarietà della madre, accanita No vax. Una sentenza su cui ha pesato soprattutto la volontà dei due ragazzi, entrambi decisi a vaccinarsi. Ma sono situazioni che non si possono non leggere con inquietudine.

NON CE LO DICONO

 Vero è che, storicamente, le resistenze nei confronti dei vaccini nascono fin dai tempi del vaccino contro il vaiolo: forse perché l’uomo fa da sempre fatica ad accettare l’idea di iniettarsi qualcosa in via preventiva da sano e non in via curativa da malato. Ma se anche la storia dei movimenti No vax è complessa e non esclusivamente riconducibile alla rete è proprio grazie ai social che un certo complottismo si è diffuso a macchia d’olio, facendo adepti su Facebook, Whatsapp, Telegram e pagine dedicate grazie a una narrazione anti-scientifica, incentrata sul “non ce lo dicono” che fa sentire gli ingenui creduloni dei privilegiati toccati dalla verità. Si tratta di un meccanismo subdolo, che sembra fare breccia soprattutto nelle generazioni dei nativi analogici. E qua si apre un altro mondo di riflessioni. La sensazione è infatti che i meno strutturati per difendersi dalle insidie della disinformazione social, quelli più predisposti a cadere nel trabocchetto del complottismo siano gli appartenenti alle generazioni analogiche, dai 40 anni a salire (e lo dimostra anche la percentuale di vaccinati per fasce di età che vede la fascia 20-30 anni fra le più coperte). Ed eccoci a un paradosso: quando si parla di internet si ricorre spesso, io sono fra i primi a farlo, alla locuzione “educazione digitale”. Ma questo si scontra con un retaggio storico secondo il quale l’educazione è qualcosa da impartire ai giovani. Ed eccoci al vero punto di domanda: se ai giovani, che pure sembrano i meno indifesi di fronte alle derive del web, possono pensare la scuola e l’università, chi pensa agli adulti? Educare i boomer e portare l’alfabetizzazione digitale a chi crede di non averne bisogno, ecco la vera sfida. Una sfida aperta per la quale al momento non sembrano esserci soluzioni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA