Passa attraverso le batterie il futuro della mobilità sostenibile. Un business che nel 2025 avrà in Europa un valore di 250 miliardi di euro, ma le cui chiavi strategiche, tecnologiche e industriali sono al momento collocate verso Oriente. Giappone, Corea del Sud e soprattutto Cina sono i padroni delle celle che costituiscono gli accumulatori di tutti i dispositivi portatili dei quali oramai ci serviamo e di tutte le auto ibride ed elettriche. L’Unione Europea però vuole rimontare e dal 2017 ha messo in piedi la European Battery Alliance e l’anno successivo un piano strategico di investimenti davvero energico tanto che nel 2019 sono stati investiti 60 miliardi di euro, più del triplo di quanto fatto in Cina, e nel 2020 ci saranno altri 25 miliardi sul piatto. Si è formato un tessuto di oltre 500 tra aziende ed istituti di ricerca che porteranno alla costituzione nel 2025 di 15 gigafactory, grandi stabilimenti in grado di produrre milioni di celle e batterie che – secondo quanto dichiarato dal vice-presidente della Commissione Europea, Maroš Šefčovič – potrebbe portare il nostro Continente ad una storica indipendenza per le case automobilistiche, oggi costrette a rivolgersi alle varie CATL, LG Chem, Panasonic, Samsung e Toshiba anche per assemblare in proprio le loro batterie.
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I PROGETTI
Di questo processo sono ovviamente protagoniste le locomotive dell’Unione Europea, Germania e Francia, ma anche l’Italia sta giocando la propria un ruolo fondamentale, come riconosciuto dallo stesso Šefčovič che ha pubblicamente ringraziato il governo italiano e il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli.
IL RICICLO
Il progetto finanziato tramite l’Ipcei (505 milioni dunque quasi il 90% del totale) riguarda invece quella che viene definita la “Gigafactory del Mediterraneo” con la realizzazione di un secondo impianto a Teverola. Qui però si parla di tecnologie avanzatissime come celle prismatiche al grafene e al silicio e di stato solido prodotte in proprio per un volume annuo di 2,5 GWh all’anno destinate espressamente all’automobile. Certo è un decimo o meno delle gigafactory di Tesla, ma il progetto prevede un’estensione di capacità e sfrutta la ricerca italiana seguendo un modello da Sylicon Valley, attinta acquisendo la Lythops, uno spin off del Politecnico di Torino. Il progetto è ancora più interessante perché riveste anche il riciclo delle batterie alla fine del ciclo di vita. In questo campo sono anche attivi il Cobat (Consorzio Obbligatorio Batterie al Piombo esauste e rifiuti piombosi) e Cnr attraverso l’Icomm (Istituto di chimica dei composti organometallici) di Firenze che hanno messo a punto un processo brevettato per recuperare il 100% di tutti i preziosi componenti delle batterie. Litio, manganese, cobalto, nickel… tutti materiali costosi, estratti in paesi e lontani e che, per essere recuperati, devono andare in Germania oppure fino in Oriente, principalmente Corea e Filippine, dove esistono impianti in grado di ricavare dalla cosiddetta Black Mass tutti gli elementi chimici. Il loro recupero consentirebbe non solo la sostenibilità etica e ambientale del business, ma anche il posizionamento di un altro fondamentale segmento della catena del valore che riguarda le batterie. Un’opportunità di sviluppo che, in un’economia sempre più circolare, elettrificata e ricaricabile, assume un valore strategico.
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