Da Pokémon a Tamagotchi, i vent'anni degli amici elettronici più famosi

Da Pokémon a Tamagotchi, i vent'anni degli amici elettronici più famosi
di Andrea Andrei
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Lunedì 7 Marzo 2016, 19:21 - Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 11:36
“Gotta catch 'em all” è un'espressione che tutti i ragazzini degli anni '90 conoscono bene. Il significato è banale, sta per “acchiappali tutti”. Eppure quella formula, che fosse scritta, cantata o recitata, ha una forza quasi mistica. È il mantra, la prima regola dei cacciatori e dei collezionisti di Pokémon, videogioco per Nintendo Gameboy lanciato in Giappone il 27 febbraio del 1996, 20 anni fa, che nel tempo si è trasformato in un fenomeno in grado di ispirare non solo altri videogame, ma anche i più disparati settori dell'intrattenimento, dal cinema ai fumetti passando per la tv e i giochi da tavolo.

Dal 1998, anche in Italia si cominciò a parlare di Pikachu, Bulbasaur, Squirtle, Charmender e di tutti i più famosi Pokémon, mostriciattoli tanto buoni quanto pericolosi se minacciati. Proprio come fossero dei fedeli animali domestici. E questa era, in sostanza, l'idea del designer di videogame Satoshi Tajiri, che diede vita alle prime versioni del gioco, la Rossa e la Blu. Queste strane creature, molte delle quali tenere e dolci in apparenza ma violente e micidiali all'occorrenza (come vuole la migliore tradizione nipponica), possono essere catturate dagli umani, allenate e poi utilizzate nei combattimenti.

IL LATO AFFETTIVO
È un po' lo stesso principio dei giochi di ruolo con le carte: lo scopo, vestendo i panni del giovane Ash Ketchum e dei suoi amici Misty e Brock, è entrare in possesso dei Pokémon con le caratteristiche migliori, renderli ancora più forti e schierarli in campo contro quelli degli altri giocatori. Un mix esplosivo di competizione, collezionismo, estetica manga e, perché no, di scienza ed esplorazione. Esistono infatti centinaia di specie di Pokémon, molte delle quali da cercare e scoprire, proprio come per gli insetti che Tajiri amava cacciare. Senza trascurare il lato affettivo e spirituale: ogni Pokémon instaura un rapporto con il proprio allenatore che si traduce in coinvolgenti amicizie virtuali. Ci si trasforma così in sciamani in blue jeans con il potere di lanciare sfere magiche per intrappolare ed evocare mostri.
 
IL FUTURO
Non è difficile comprendere come i Pokémon, dal 1996 in poi, siano diventati una straordinaria macchina commerciale, che ha generato qualcosa come 57,65 miliardi di dollari di introiti, con oltre 277 milioni di videogiochi venduti in tutto il mondo (26 sono i titoli per le piattaforme Nintendo), centinaia di episodi di cartoni animati, 17 film e un gioco di carte formato da 21,5 miliardi di figurine stampate in 10 lingue. A livello videoludico, solo Mario Bros ha venduto di più. Mentre se parliamo di fenomeni commerciali, basti dire che Peppa Pig, star dei bambini degli anni Duemila, è seconda con “solo” un miliardo di dollari di introiti.

Ma i Pokémon non si fermano qui. Le creature ideate da Tajiri hanno dimostrato di sapersi adattare infatti anche alle nuove tecnologie. La grande comunità di fan della serie è in febbricitante attesa per l'uscita di Pokémon Go, videogame che sotto forma di app per smartphone utilizza la realtà aumentata e il Gps. Il concetto del videogioco è più che mai interessante: l'intero mondo (reale) si trasforma così in terreno di caccia per i Pokémon. Le colorate creature possono infatti essere trovate e catturate fra le vie della propria città, utilizzando un piccolo “amuleto” bluetooth prodotto da Nintendo da tenere come portachiavi o da fissare a un braccialetto. L'uscita del gioco è prevista entro il 2016.

SIMULATORE DI VITA
A conferma di come il Giappone negli anni '90 fosse un “faro” per l'industria ludica mondiale, nel 2016 si festeggia anche un altro ventennale. Il concetto degli amici virtuali già presente nei Pokémon fu infatti ulteriormente sviluppato sempre nel 1996 da una donna, Aki Maita, che lavorava per l'azienda nipponica Namco Bandai. Fu lei a ideare un particolare gioco elettronico, destinato a entrare nelle case e nelle tasche dei bambini di tutto il mondo. Si chiamava Tamagotchi ed era un vero e proprio “simulatore di vita”: in un ovetto con uno schermo all'interno nascevano, crescevano e morivano degli animaletti virtuali di strana natura, dei quali bisognava prendersi cura giorno e notte, dando loro da mangiare, pulendoli, facendoli giocare e mettendoli a letto. Fino a oggi ne sono state create 37 versioni videoludiche, un film e una serie su YouTube. Fu accusato di essere una fonte di alienazione per i più giovani, oltre che un gioco pericoloso per il rendimento scolastico. Forse un po' era vero, ma a quei tempi ancora non si conoscevano i social network.

andrea.andrei@ilmessaggero.it
Twitter: @andreaandrei_
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