Dallas, il massacro in diretta: come la violenza "viaggia" sui social network

Dallas, il massacro in diretta: come la violenza "viaggia" sui social network
di Anna Guaita
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Sabato 9 Luglio 2016, 17:47 - Ultimo aggiornamento: 17:48
NEW YORK - Non ci sono più censure, ritardi precauzionali nella trasmissione, oscuramenti di volti o immagini: tutto appare immediato sotto i nostri occhi. L’agente ferito che sanguina, mentre voci isteriche gridano e sirene ululano. Un altro agente che imbraccia il fucile e spara verso l’alto, ma viene ferito, cade, muore. Volti spaventati, gambe di gente che fugge, il senso tangibile della paura, delle confusione, chi è il nemico, dov’è, dove possiamo ripararci. Le bestemmie, pesanti, volgari, a ripetizione, espressione di paura e rabbia. Certo, le immagini scorrono rozze, spesso mosse, non si capiscono tutte le parole, il cielo e la terra si alternano in un vortice. Ma sono immagini vere. Che arrivano ore prima di quello che le tv, anche le più veloci, le più potenti, le più attrezzate riescono a mettere in onda.

Questa è l’età dei social network che ci permettono di trasmettere in streaming anche il massacro di Dallas. È un segno di democrazia, di trasparenza che dobbiamo apprezzare e difendere? O c’è il rischio che essere ammessi a vedere in diretta l’ultima carneficina avrà l’effetto di creare contagio e imitazione, per non parlare della rabbia che viene rinfocolata? Il dibattito è aperto. Ma non è un dibattito nuovissimo. La rivoluzione che la “videoregistrazione” ha portato nella vita sociale è cominciata una sera di marzo del 1992, quando un tale George Holliday afferrò il suo videoregistratore e immortalò una pattuglia di poliziotti che bastonavano a sangue un tassista di colore che a terra si difendeva a mala pena e piangeva.

L’aggressione contro Rodney King scatenò le rivolte razziali di Los Angeles, 55 morti, duemila feriti, una delle più nere pagine della storia dei confronti razziali negli Usa. Ma quel video fu accolto come una rivoluzione catartica. Le botte, le violenze, le sopraffazioni di tanti corpi di polizia erano avvenute fino ad allora senza che se ne parlasse, soprattutto perché mancavano le prove. Da allora, centinaia di cittadini cominciarono a tenersi in automobile il loro videoregistratore, mentre oggi la tecnologia permette che praticamente centinaia di milioni di persone possano registrare quel che vedono, basta che tengano in mano il proprio smartphone.

Non è un caso che il movimento “Black Lives Matter” raccomandi a tutti gli afroamericani fermati dalla polizia - o che ne vedano altri fermati dalla polizia - di tenere acceso il proprio telefono e trasmettere possibilmente in diretta via Periscope o Facebook: è la prima difesa contro gli abusi. Senza i video, come avremmo saputo che Philando Castile è stato ucciso senza motivo, e così Alton Sterling? I due erano uomini incensurati, che non avevano fatto nulla di criminale. Sono stati uccisi per tragici errori di giudizio, per paura, per razzismo, da poliziotti ovviamente impreparati a fare il loro mestiere. Sono stati i video delle loro “esecuzioni” a spingere decine di migliaia di persone a manifestare pacificamente giovedì sera. Ma anche a fare impazzire il cecchino di Dallas, che ha ucciso i cinque poliziotti.
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