«Come ti senti?»: le app gentili che cambiano la lotta al coronavirus (e in Italia esistono già)

«Come ti senti?»: le app gentili che cambiano la lotta al coronavirus (e in Italia esistono già)
di Pietro Piovani
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Martedì 7 Aprile 2020, 06:00
In Israele un gruppo di esperti di intelligenza artificiale era riuscito a prevedere tre focolai di infezione del coronavirus con cinque giorni di anticipo. «Se il ministero della Salute si fosse mosso sulla base delle nostre informazioni, forse avremmo impedito lo spargersi dell'epidemia» dice Eran Segal, biologo computazionale dell'Istituto di scienza Weizmann che guidava l'esperimento.

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Ma come hanno fatto i computer ad anticipare la diffusione del Covid-19 nel la città di Bnei Brak, o nel quartiere Mea Sharim di Gerusalemme? Il sistema si basa sull'analisi dei dati raccolti interrogando direttamente i cittadini sui loro sintomi. In particolare, i tecnici israeliani hanno sfruttato una app che chiede agli utenti dettagli sulle loro condizioni di salute: Hai la tosse? Mal di gola? Ti manca il respiro? Avverti una riduzione del gusto e dell'olfatto? Qual è la tua temperatura corporea oggi? Questi dati riferiti a molte decine di migliaia di persone, tutte geolocalizzate attraverso i loro telefonini e in base all'indirizzo di residenza, se opportunamente analizzati possono segnalare con grande rapidità l'insorgere di un nuovo focolaio.
Perché è chiaro che se molte persone che vivono o si muovono in una stessa area sviluppano contemporaneamente i sintomi del virus è altamente probabile che lì stia partendo un principio di epidemia.

L'esperimento israeliano mostra un ulteriore modo di sfruttare la tecnologia degli smartphone, diverso da quello di cui molto si è parlato fin qui in Italia basandosi sull'esempio delle applicazioni che pure si sono rivelate utili in Cina o in Corea.

Quelle app sono servite soprattutto a tracciare i movimenti delle persone, per ricostruire i contatti avuti da chi è positivo nei giorni precedenti alla diagnosi, e poi per controllare che un contagiato (o un sospetto contagiato) non si sposti dal luogo in cui è tenuto a restare in isolamento, e ancora per consentire a chi invece non è portatore del virus di dimostrare la propria condizione di non-contagiato e poter così entrare in un supermercato o andare al lavoro.

Tutte funzioni fondamentali per prevenire la diffusione del morbo, e che possono certamente aiutare a riaprire le città riducendo il rischio che l'epidemia riparta a velocità esponenziale, tanto che anche l'Italia potrebbe presto adottare una tecnologia simile (a giorni il governo dovrebbe annunciare i dettagli di questa operazione studiata in questi giorni da un gruppo di tecnici). Ma quello che l'intelligenza artificiale adottata in Israele può offrire è un servizio di altro genere, che non punta a tracciare gli spostamenti degli individui bensì a localizzare il più rapidamente possibile un nuovo epicentro del contagio. Uno strumento che può diventare fondamentale in quella che viene ormai comunemente definita “fase due”, quando cioè saremo arrivati ad azzerare o quasi i contagi e potremo finalmente riaffacciarci – con estrema prudenza - fuori di casa.

Individuando un focolaio quando ancora sta nascendo, le autorità possono isolare tempestivamente un'area ben circoscritta, istituire una zona rossa, introdurre misure di distanziamento sociale, impedendo al virus di diffondersi ma limitando (per quanto possibile) i danni economici ed umani. E agli infettati potrebbero essere assicurate cure già nella prima fase della malattia, con la garanzia che il sistema sanitario possa dedicare le proprie forze e strutture a pochi pazienti invece di essere sommerso dall'ondata dell'epidemia diffusa.

In Israele la app elaborata dagli esperti informatici viene ora raccomandata dalle assicurazioni sanitarie e comincia ad essere largamente diffusa tra la popolazione. Anche nel Regno Unito sta cominciando a prendere piede, e fra l'altro ha offerto indicazioni utili anche per la conoscenza del virus: dall'analisi dei sintomi dichiarati da chi poi è effettivamente risultato positivo, è emerso per esempio che la perdita del gusto e dell'olfatto è un segnale della presenza del virus che in genere arriva ancora prima della febbre.

E in Italia? Anche da noi hanno cominciato a nascere iniziative simili, ma la struttura federalista del nostro sistema sanitario ha fatto sì che le app fin qui esistenti siano tutte di ambito regionale. C'è la “LazioDrCovid”, che è stata scaricata da 80 mila abitanti, oppure la “AllertaLom” per chi vive in Lombardia. Ma perché lo strumenti funzioni davvero sono fondamentali due cose: che si raggiunga un numero abbastanza alto di utenti, e che dietro alla app ci sia un sistema di analisi dei dati capace di riconoscere i veri focolai, evitando i falsi allarmi.

Gli esperti britannici segnalano poi una possibile criticità nel fatto che iniziative di questo genere non vengono accolte con la stessa disponibilità da tutte le fasce sociali e anagrafiche. In particolare, le persone meno portate a scaricare una applicazione sullo smartphone sono - per evidenti ragioni - gli anziani, cioè coloro che ne avrebbero più bisogno, e che sono soggetti a contrarre il virus con i sintomi più forti.
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