De Meo, presidente Seat: «Oltre la mobilità le idee diventano start up»

De Meo, presidente Seat: «Oltre la mobilità le idee diventano start up»
di Giampiero Bottino
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Martedì 4 Dicembre 2018, 13:40 - Ultimo aggiornamento: 13 Dicembre, 08:04
Barcellona vuol essere protagonista della mobilità intelligente del futuro, e lo manifesta ospitando ogni anno due eventi di respiro mondiale come il Mobile World Congress e lo Smart City Expo World Congress. In questo contesto la Seat, che a Barcellona è nata e che della capitale catalana rappresenta in un cento senso la bandiera industriale, ha un ruolo di primo piano, confermato da una strategia di crescita che attribuisce allo sviluppo delle nuove tecnologie una priorità assoluta, come dimostrano gli investimenti finora 3,3 miliardi di euro destinati dal 2013 alle attività di Ricerca & Sviluppo.
Di questa impegnativa e ambiziosa mission abbiamo parlato con Luca de Meo, presidente della casa spagnola inquadrata nel gruppo Volkswagen e convinto sostenitore della sfida tecnologica, anche se cauto e politicamente corretto nell'attribuirne la leadership a Barcellona.
«In realtà ci sono diverse città che affrontano i temi della mobilità con lo sguardo rivolto al futuro, e non si possono fare delle gerarchie anche se non si può negare che l'attenzione della municipalità di Barcellona sia alta, e porti con sé anche un atteggiamento abbastanza restrittivo nei confronti della mobilità privata, che in un certo senso ci forza a trovare delle soluzioni».
Con quali strumenti?
«Abbiamo incominciato anni fa a investire nella creazione delle competenze necessarie, per esempio con il progetto europeo Carnet nel quale abbiamo collaborato con l'Università di Catalogna e con il gruppo Volkswagen per la mappatura della mobilità urbana. In secondo luogo abbiamo contribuito alla nascita di Barcellona Tech City che in un edificio di Barceloneta, storico quartiere nella zona portuale, è oggi la più grande concentrazione di start-up in Europa. Siamo stati la prima grande azienda a entrare in questo contesto».
Con che genere di attività?
«C'è il nostro Metropolis Lab, il cui staff di specialisti giovani, motivati ed entusiasti si occupa di creare applicazioni. Attualmente, per esempio, sono impegnati nello sviluppo di due progetti».
Di cosa si tratta?
«Il primo, che noi definiamo Bus on demand, utilizza la tecnologia per rendere più flessibile l'orario dei mezzi pubblici, adeguando la frequenza dei loro passaggi alle reali esigenze dei passeggeri. Il secondo progetto riguarda un'app capace di aggregare la opportunità di mobilità offerte dalle varie piattaforme, integrando per esempio il car sharing, il mezzo pubblico, la bicicletta e quant'altro, includendo anche la gestione dei relativi pagamenti».
Avete altre novità?
«Siamo coinvolti nell'iniziativa appena annunciata e condivisa con quattro partner eccellenti Aigües del Barcelona, CaixaBank, Naturgy e Telefònica i quali hanno deciso di unire le forze nella prima iniziativa europea finalizzata a incrementare l'innovazione andando alla scoperta delle startup nazionali e internazionali, una specie di piattaforma comune integrata tra importanti soggetti economici che possono in tal modo evitare costose sovrapposizioni e favorire promettenti sinergie».
Come funziona il car sharing «multi-aziendale» del Barcelona Tech City?
«La flotta di dieci e-Mii elettriche che abbiamo messo a diposizione delle oltre 100 startup con sede nell'edificio di Barceloneta ha lo scopo di sperimentare nuove soluzioni di mobilità digitale, e per capire a fondo questo tipo di servizio abbiamo anche acquisito una società di car sharing di Madrid. E mi sono convinto che il car sharing potrà produrre un ritorno economico solo con auto progettate e costruite espressamente per questo servizio».
Per quali motivi?
«Perché a differenza di Uber, che non ha asset propri e le cui auto vengono guidate e mantenute dai proprietari, basta leggere il conto economico di un operatore del car sharing per rendersi conto che la situazione è ben diversa, e che oggi è abbastanza difficile fare soldi con questa attività. Chi si mette al volante deve solo preoccuparsi di parcheggiare, perché al resto e ai relativi costi ammortamento della flotta, permessi di parcheggio rilasciati dai Comuni, pulizia, manutenzione ed eventuali riparazioni delle vetture, recupero delle auto lasciate all'esterno dal perimetro consentito deve provvedere il gestore. Credo che solo con l'arrivo delle piattaforme di mobilità in grado di integrare varie modalità di trasporto sarà possibile trovare la quadra, offrendo al cliente alternative al trasporto pubblico economicamente convenienti».
Avete recentemente presentato l'Ateca Smart City Car. Che ruolo ha?
«Si tratta di un prototipo che abbiamo presentato all'ultimo Smart City Expo World Congress. Continua e amplia il discorso avviato l'anno prima con la Leon Cristobal, l'auto più sicura mai creata dalla Seat, non a caso dedicata al santo protettore degli automobilisti. Nella Ateca le 6 tecnologie di sicurezza della Leon sono diventate 19, e se fossero diffuse sulla metà del parco circolante potrebbero ridurre del 40% l'incidentalità stradale. Merito anche della connettività 5G, la cui capacità di consentire collegamenti stabili e rapidissimi tra le auto e tra queste e l'infrastruttura rappresenta un passaggio fondamentale verso la mobilità del futuro».
 
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