Zverev e Roland Garros, una leggerezza che poteva costare cara. Non solo a Sinner

Zverev e Roland Garros, una leggerezza che poteva costare cara. Non solo a Sinner
di Gianluca Cordella
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Martedì 6 Ottobre 2020, 07:30
Quando nel primo set Sascha Zverev ha chiamato il medical time out per farsi liberare le vie respiratorie è stato chiaro a tutti che qualcosa non andasse per il verso giusto. «Non riesco a respirare», ripeteva il tedesco, mentre il nostro Jannik Sinner lo aspettava seduto nel suo “angolo”. D’altra parte, con il meteo avverso della Parigi d’ottobre, per ipotizzare un’influenza o un banale raffreddore non serve una laurea in medicina. Quando però il numero 7 del mondo si presenta da sconfitto in sala stampa, sul Roland Garros che ha appena celebrato l’impresa del giovane azzurro si stagliano le ombre del Covid

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LE PAROLE
«Dopo il match con Cecchinato di venerdì sera sono stato molto male - ha raccontato il finalista degli Us Open - Ho avuto anche la febbre a 38, non riesco a respirare, potete sentirlo dalla mia voce. Non avrei dovuto giocare, l’avevo capito già durante il riscaldamento». In altri periodi storici nessuno si sarebbe allarmato, ma con il mondo che sta affrontando la seconda ondata di contagi da Coronavirus - e con quel «non riesco a respirare» che ritornava - la paura è esplosa in un attimo. Soprattutto per Sinner che, fresco d’impresa e con la testa già al superduello nei quarti con Rafa Nadal, si è ritrovato a dover fronteggiare un avversario non previsto. Ma per scalfire Jannik nemmeno questo è bastato. «Veramente mi sembrava corresse abbastanza bene in campo, poi ovvio che mi dispiace se è stato male. In ogni caso, non siamo mai stati a contatto, quindi non sono preoccupato per un eventuale contagio». Game, set and match. Certo, anche l’uso delle stesse palline potrebbe essere veicolo di passaggio per il virus, ma in questo caso il calcolo delle probabilità sfocia più che altro nell’improbabilità (con il marchio delle palline che fa gli scongiuri: dopo la bufera sull’ingiocabilità, se diventassero anche veicolo di infezione...). A soffocare ogni speculazione sul contagio è arrivato l'esito del secondo tampone di Zverev: negativo. Non è ancora uno scampato pericolo definitivo, ma quasi.

I DUBBI
Covid o non Covid, resta però una domanda senza risposta: se Zverev aveva la febbre perché era in campo? Trattasi di leggerezza enorme, sia da parte del giocatore che degli organizzatori del torneo. Che, per togliersi subito dal polverone, hanno chiarito che il giocatore non ha mai comunicato l’innalzamento della temperatura. L’ultimo tampone pre-Sinner è datato 29 settembre: se Sascha avesse avvertito sicuramente ne sarebbe scattato un altro in tempi rapidi. Ma Zverev, purtroppo, non è nuovo a comportamenti non del tutto ligi sul versante sanitario. Tra i tennisti che presero avventatamente parte all’Adria Tour di Djokovic - uno dei primi tornei post lockdown che aveva scatenato un focolaio in Serbia - il tedesco giurò sui social di essere risultato negativo al tampone e di voler comunque isolarsi per due settimane per sicurezza: peccato che l’abbiano paparazzato qualche giorno dopo a una festa in Costa Azzurra. Negligenza del giocatore, certo, ma possibile che al Roland Garros non ci siano misure minime attive ovunque nel mondo come il controllo delle temperatura degli atleti? La verità è che la bolla parigina bolla non è. Shapovalov ha smascherato il libero e incontrollato viavai dei colleghi negli alberghi, Evans ha denunciato la presenza negli hotel riservati agli atleti di turisti “normali”, MacDonald ha raccontato di esser stato perennemente scortato dalla security degli Us Open mentre al Roland Garros ha fatto tutto da solo, compreso arrivare in albergo e cercare la sua stanza. Tutto lo sport sta facendo un po’ del “the show must go on” il proprio credo, ma a volte basta un termoscanner per evitare pesanti danni (per ora, solo) d’immagine.
 
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