Sinner, parla Sartori, il primo coach: «Palleggiai con lui 13enne
Dopo un’ora ero distrutto»

Sinner, parla Sartori, il primo coach: «Palleggiai con lui 13enne Dopo un’ora ero distrutto»
di Guido Frasca
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Domenica 15 Novembre 2020, 09:30

In pochi conoscono bene Jannik Sinner come Massimo Sartori, uno che ha la vista lunga, coach e mentore di Andreas Seppi, altoatesino come il giovanissimo fenomeno italiano del tennis mondiale. «Aveva 13 anni - racconta - e un giorno ci siamo messi d’accordo per farlo giocare con Seppi durante il challenger di Ortisei. Ovviamente, proprio quel giorno Seppi è stato male e in campo, con quel ragazzino, ci sono finito io. Dopo un’ora, sono uscito morto... Spesso maestri e genitori mi chiedono di dare un’occhiata a un ragazzino per valutarne le potenzialità e quando ho visto Jannik ho subito capito che era speciale. Ho convinto lui e la sua famiglia a venire qualche giorno al centro di Bordighera perché ci tenevo che lo vedesse Riccardo Piatti e insieme abbiamo capito che si poteva, anzi si doveva puntare su questo ragazzo».
Una fiducia ripagata con i risultati… 
«Per arrivare a essere il giocatore che è oggi, c’è di mezzo il lavoro. Sinner è il risultato di un lungo percorso, ha deciso sin dall’età giovanile di portare avanti un progetto con il proprio allenatore per il tempo necessario a raccogliere i frutti. Va sottolineato che non è arrivato per caso, la sua è una crescita progressiva e in questo è aiutato da un grande team. La chiave del loro lavoro è di non essere mai concentrati solo sul risultato, che non ti deve distogliere da ciò che stai facendo».
Vincere però aiuta a vincere, un vecchio adagio sempre buono. 
«Certo, perché il titolo a Sofia conferma le sue qualità. Ma fosse andata male non sarebbe successo nulla, perché lui, Piatti e il suo team hanno la consapevolezza che arriverà». 
Margini di crescita? 
«Per fortuna ancora molto ampi. L’obiettivo è quello di migliorare il diritto, la fase che lo porta a rete e cominciare a dare diversità al suo tennis, che in questo momento è un gioco di potenza fatto con ottime qualità sia tecniche che fisiche. Jannik è un bravissimo ragazzo che merita quello che sta ottenendo. E ha una grande qualità. Potrebbe giocare e allenarsi dalla mattina alla sera senza mai stressarsi. Sai che dà tutto». 
Chiuderà il 2020 nei top 40, ma dove può arrivare?
«A qualsiasi tipo di classifica. La cosa in cui deve crescere ora è la gestione di tutto ciò che lo circonda e questo lo raggiungi con l’esperienza, facendo sempre le cose giuste, giocando i grandi tornei e confrontandoti. È già competitivo ai massimi livelli ed è molto più vicino ai più forti di quanto si pensi». 
Può essere paragonato a qualche grande campione?
«È difficile, ma agonisticamente, per come sta in campo, mi ricorda Hewitt.

Ha la stessa qualità di agonismo dell’australiano, ma lo fa vedere in maniera meno evidente. Nei movimenti, invece, mi ricorda Murray, anche se lo scozzese costruisce di più, mentre Jannik cerca di prendere subito in mano lo scambio».

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