Pietrangeli: «Da Sonego a Sinner, quanti talenti. Finalmente l’Italia è stata fortunata»

Pietrangeli: «Da Sonego a Sinner, quanti talenti. Finalmente l’Italia è stata fortunata»
di Piero Valesio
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Lunedì 17 Maggio 2021, 07:30

Sessant’anni fa Nicola Pietrangeli era impegnato nella finale degli Internazionali d’Italia. Ma non a Roma. Quell’anno, di lunedì, il torneo si giocò a Torino per celebrare il Centenario dell’Unità d’Italia. Dall’altra parte del campo c’era Rod Laver.
Nicola, cosa ricorda di quella finale?

«Il risultato. Lui vinse 8-6 il primo set e poi negli altri tre gli lasciai quattro game. Ma ti confesso una cosa: per qualche strano motivo non ricordo un solo quindici di quell’incontro. Però ogni volta che si penso mi arrabbio».
Perché?
«Perché quando si ragiona su chi sia stato il giocatore italiano più forte di sempre sento sempre dire: Panatta ha battuto Borg. E Laver chi era? Uno scarso?».
Hai seguito Sonego nel suo super sabato.
«Certo. Fantastico. Mi ricorda Fausto Gardini. Quelle gambe lunghe, quel suo correre come un pazzo… Ricordo un punto di match fra Fausto e Lew Hoad, l’australiano. Hoad gli fece una palla corta che più corta non si poteva. Io mi dissi: punto fatto. Invece Fausto non so come ci arrivò. Era impossibile che ce la facesse. Sonego fa lo stesso. Solo che per lui adesso diventa dura».
Finito l’effetto outsider?
«Esatto. A Roland Garros scoprirà cosa vuol dire che l’avversario quando scende in campo non dice: ma come gioca quello? Invece ora sa chi sei. E ne trae le conseguenze».
Jannik Sinner.
«A fine anno sarà nei primi dieci al mondo. Ai miei tempi nessuno giocava così. Però a ‘sti ragazzi io dico: badate che con la fatica che fate la vostra carriera durerà due anni di meno di quanto potrebbe. Trovate soluzioni diverse dallo stare a fondo ogni tanto. Se no vi spremete».
Matteo Berrettini.
«Matteo mi ricorda Beppe Merlo. Chi lo affrontava sapeva di avere di fronte un bel problema da risolvere. Beppe ti faceva diventare matto. E Matteo anche con quel rovescio tagliato che si è costruito…».
E c’è anche Musetti.
«Non l’ho ancora osservato bene: Ma so che è uno che gioca in un modo più simile ai tempi miei. O come Federer che è stato il punto di congiunzione fra il mio tennis mio e quello contemporaneo».
Ma come te la spieghi questa esplosione azzurra?
«Con una parola che inizia con una “c” e finisce con “ulo”».
Ovvero?
«Il Belgio non ha mai avuto un giocatore o una giocatrice che valesse qualcosa. Di colpo si sono ritrovati con due giocatrici che erano le più forti al mondo, Henin e Clijsters. Vogliamo parlare della Svizzera? Di colpo hanno avuto Federer e pure Wawrinka. Adesso tocca a noi. Alcune cicogne hanno finalmente oltrepassato le Alpi. Tutto qui».
Andrai a Parigi?
«Nella seconda settimana. Forse celebreranno i protagonisti della finale di 60 anni fa: Manolo Santana e io. E’ inusuale che si possano premiare ancora viventi i giocatori di tanto tempo fa. Vogliamo battere Borotra che continuò ad andare a Roland Garros anche quando dovevano spostarlo di peso…».
 

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