Rugby, Sei Nazioni, ripartire dall'Abc con O'Shea per garantire il futuro agli azzurri

Sergio Parisse
di Paolo Ricci Bitti
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Lunedì 11 Febbraio 2019, 12:56 - Ultimo aggiornamento: 18:48
Calendario alla mano, sono 16 le partite che attendono gli azzurri fino al prossimo ed eventualissimo giro di boa della nazionale, ovvero il termine del Sei Nazioni del 2020, quando scadrà il rinnovabile contratto del ct Conor O'Shea.


Di queste 16, l'Italia può e deve vincerne ben 3: Russia in estate, per preparare i Mondiali autunnali in Giappone, e Namibia e Canada, appunto nella prima fase dei Mondiali. Ne portasse a casa una, delle altre 13, si diventerebbe ricchi ad averci scommesso, perché oltre alle 5 avversarie tradizionali del Sei Nazioni, si aggiungono alla lista quelle scartine di Nuova Zelanda e Sud Africa, ancora in Giappone. Il che rende molto improbabile che le partite diventino 17, ovvero con un quarto di finale ai Mondiali che l'Italia non ha mai raggiunto. Anche perché il rugby, inteso come i vertici del movimento mondiale, fa di tutto per restare appunto verticistico, arroccato in lussuose dimore da meno di 10 nazioni che nei fatti non vogliono perdere beni e prebende arcigarantite da secoli: vedi appunto la maniera d'oro del Sei Nazioni.

Si arriva a 16 match perché, sempre per non farci mancare niente, prepareremo la Coppa del Mondo sfidando a casa loro in estate anche Inghilterra, Francia e Irlanda e c'è già una certa idea su chi rivestirà il ruolo di sparring partner. Ma era proprio necessario un warm up così torrido per una squadra che già al 99% affronta avversari di gran lunga più forti? Mah.


Che si fa allora, dopo aver ricordato che nel Sei Nazioni, tuttora solido e imprescindibile architrave dell'esistenza del rugby italico, siamo già a 19 ko di fila nel Torneo in attesa di sfidare il 24 febbraio a Roma l'Irlanda (che a novembre ha ribattuto gli All Blacks), il 9 marzo a Twickenham l'Inghilterra (che domenica ha rivoltato la Francia come un pedalino 44-8) e infine proprio la Francia, a Roma il 16 marzo, probabilmente in arrivo per rifilare a noi l'onta del cucchiaio di legno (tutti ko)?


Due le scadenze da tenere legate: il 2020, appunto, e di lì in poi. Per quanto riguarda la breve e media scadenza, lanciato il contrappello, elmetto ben calcato, O'Shea potrebbe fare di necessità virtù e schierare il materiale umano a disposizione, infinitamente minore di quello dei rivali, facendo forza sull'Abc del rugby, meglio ancora nella versione a 3D dell'ortodossia sudafricana: difesa, difesa e difesa. Possesso sicuro, niente avventure, tanto gioco al piede per conquistare terreno, anche perché per ora sono rotti attaccanti stellari come Minozzi e Polledri. Tanti altri non ne abbiamo.

Si perderà lo stesso, ma un conto è restare in partita fino alla fine come l'altro ieri all'Olimpico con il Galles e un conto è uscire di scena già al 50' come a Edimburgo la settimana prima. Perché poi se il risultato balla un po', potrebbe anche capitare, com'è capitato, che pure l'arcifavorito incespichi nel paso doble. Vedi il Sud Africa, medaglia più luccicante e davvero portentosa, per quanto solitaria, di O'Shea.

E' che l'irlandese - preparatissimo tecnico e pianificatore - è stato ingaggiato con un compito assai vasto dopo una sarabanda di tecnici votati solo all'oggi. A lui è stato chiesto, in breve, di ripensare il nostro intero movimento così giovane e arretrato rispetto alle grandi potenze. Un compitino.

STRISCIA NERA
Nemmeno O'Shea, però, temeva di perderle tutte in due edizioni e mezza del Sei Nazioni: chi l'ha preceduto almeno un match l'ha vinto (Johnstone, agli albori, e solo uno, ma assai importante visto che si era al debutto nel Torneo) e adesso cresce l'ansia (in lui, in noi, nella Federazione, non tanto invece nel resto del mondo ovale) di mettere un punto in quella lunga striscia nera. Mica facile.

Però rinunciare a lui e alle sue competenze a lunga gittata, che già qualche frutto lo stanno finalmente dando, sarebbe da suicidi. Con O'Shea sono finalmente messe a sistema tutte le ridotte risorse del rugby italiano ma il telaio va ancora irrobustito parecchio. Cambiare strada? Non v'è in realtà alcuna garanzia, alcuna certezza che un nuovo ct  porterebbe più vittorie, dato l'attuale parco-giocatori, mentre è sicuro che altri scenari per l'organizzazione del rugby italiano appaiano ancora più nebulosi e richiedenti di tempi biblici.

Rafforzare lo staff azzurro con altri tecnici da campo e con O'Shea dal 2020 definitivamente Director of Rugby (una sorta di super coordinatore finora ignoto in Italia) è una delle ipotesi più logiche da soppesare.
 
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