Rugby Sei Nazioni, Eamonn Walsh, il vescovo missionario della palla ovale oggi a Roma per Italia-Irlanda: «Che gomitate in quei match»​ ​

I racconti del sacerdote di Dublino. E un prete seconda linea celebrò le nozze di un pilone

Rugby Sei Nazioni, Eamonn Walsh, il vescovo missionario della palla ovale a Roma
di Paolo Ricci Bitti
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Sabato 25 Febbraio 2023, 00:30 - Ultimo aggiornamento: 09:10

Rugby Sei Nazioni, risale a 10 anni fa l'ultima vittoria dell'Italia nel Torneo all'Olimpico, allora come oggi era la sfida con l'Irlanda. Alla vigilia l'intervista a Eamonn Walsh, all'epoca vescovo di Dublino, laurea anche in Legge oltre a quella in Teologia conquistata a Roma negli anni Sessanta, quando il seminarista irlandese, nonché slanciata seconda linea del secolare club Old Belvedere, scoprì che agli studi in Vaticano era chiamato dalla vocazione ad affiancare un'altra catechesi, quella del rugby, da insegnare agli ancora acerbi romani. Walsh, 79 anni, nel 2019 è andato in pensione, ma oggi sarà di nuovo all'Olimpico come ha sempre fatto dall'inizio del Sei Nazioni, a volte insieme ad altri vescovi e persino cardinali appassionati di mete e placcaggi. Non vanno in Tribuna autorità, questi alti prelati, ma si mischiano ai fedeli sugli spalti, a loro volta mischiati gli uni agli altri ché nel rugby si sta sempre fianco a fianco anche da rivali. Dieci anni fa il vescovo quasi profetizzò l'inatteso ko dei suoi "verdi" e allora riproponiamo quell'intervista che resta del tutto attuale a parte il ritiro della star Brian O'Driscoll.

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Una gomitata in faccia?
«Sì, gli tirai una gomitata in faccia, ma una di quelle gomitate diciamo accidentali, mica per fargli male. A quei tempi usava così: nella prima touche del match le seconde linee saltavano e, per presentarsi, si scambiavano il “biglietto da visita”. Ancora mi dispiace per l'occhio nero che causai a quel giocatore della Marina all'Acqua Acetosa».

In quella domenica del 1965, le pie intenzioni del seminarista Eamonn Walsh, futuro vescovo ausiliario di
Dublino e oggi di nuovo in trasferta per seguire l'Irlanda all'Olimpico, erano evidenti, tanto che il religioso si rivolse subito all'infuriato rivale dall'occhio gonfio come un pallone: «Mi scusi, gentile signora».

Signora? Allora sì che si rischiò la rissa.

«Un altro equivoco, non volevo prendere in giro quell'uomo. È che ero appena arrivato a Roma e non sapevo dire che qualche frase di circostanza - continua il vescovo - per fortuna i compagni di squadra si misero in mezzo e la partita ricominciò».

Il vescovo fa parte della vastissima schiera di religiosi irlandesi che da giovani hanno trascorso almeno quattro anni nella Capitale per studiare Teologia. E, già che c'erano, continuavano a giocare a rugby come avevano fatto a Dublino e dintorni sin da bambini. Le squadre romane se li litigavano, quei missionari dell'ovale a costo zero.

«Beh, in campo sapevamo cavarcela anche perché allora il livello del rugby italiano era assai più basso di quello irlandese.

E non chiedevamo nulla ai club a parte la possibilità di giocare, anche se poi ricevevamo amicizia e divertimento. Ho iniziato a 10 anni al Belvedere College e ho smesso (solo per colpa di un'infortunio, eh) a 37 all'Old Belvedere, tutt'ora il mio unico club. Sì, sono abbastanza alto e quindi seconda linea. Ventenne, atterrai a Roma rassegnato a non giocare più e invece già nel college trovai una buona squadra. C'era anche Michael Courtney, una terza linea eccezionale come il vostro Zanni, che poi divenne arcivescovo e quindi nunzio in Burundi dove venne ucciso nel 2004. Era così bravo che la Lazio lo faceva venire a prendere da un taxi ogni domenica al collegio di via Santissimi Quattro».


Vescovo, ci spiega perché la nazionale di rugby, e solo quella, rappresenta tutta l'Irlanda? Sempre uniti anche negli anni più cupi dei Troubles.

«La divisione in due dell'isola non è mai stata presa in considerazione dalla federazione irlandese. Al Nord
giocavano e giocano soprattutto i protestanti, fin dalle elementari, mentre al Sud, nell'Eire, insomma, le scuole
cattoliche hanno sempre coltivato i talenti rugbystici. E non si è mai smesso di organizzare match tra squadre
del Nord e quelle del Sud, a ogni livello, in modo che si sono costantemente mantenute, create e rafforzate
relazioni, amicizie, conoscenze più forti dell'odio delle lotte politiche. I valori, prima di tutto educativi, del rugby sono del resto riconosciuti in tutto il mondo, al di là di ogni politica e credo religioso». 


E dal 2000 nel Torneo c'è anche l'Italia.

«Non può immaginare la mia gioia alla notizia della vostra ammissione. Per gli irlandesi, tutti gli irlandesi, è stato un regalo fenomenale: ogni due anni, spesso a ridosso della Festa di San Patrizio, c'è la possibilità di tornare in una città meravigliosa come Roma con un programma eccezionale: il sabato il match e la domenica l'Angelus in Vaticano. Sempre insieme: fino a 12mila supporter con le maglie verdi».

Questa volta, poi...

«Questa volta, poi, è davvero il massimo: non vedo l'ora di vedere l'Olimpico in versione rugby e poi, il giorno
dopo, avremo la possibilità di vedere in Vaticano il nuovo Papa Francesco. Impossibile sognare di più per un
irlandese».

E inoltre a Roma l'Irlanda vince sempre: come mai alla fine degli anni 90 gli azzurri l'hanno battuta tre volte
e poi dal 2000 mai e poi mai? Eppure l'Italia ci è riuscita con Francia, Galles e Scozia e anche domenica
scorsa ha fatto paura agli inglesi.


«Merito di God».

Merito di Dio? Scusi, ripeta che al telefono non si sente bene.

«Merito di B-O-D, Brian O'Driscoll. Ha debuttato in nazionale nel 1999 e c'è ancora (124 caps, ndr). Un giocatore eccezionale. Però non voglio esagerare: non è solo merito suo. In questi ultimi 13 anni abbiamo avuto un'ottima nazionale che nel 2009 ha persino rivinto il Grand Slam dopo quello del 1948. Ma voi italiani non dovete preoccuparvi: avete fatto progressi enormi in pochissimi anni. Irlanda, Inghilterra, Scozia e Galles si affrontano nel Torneo dal 130 anni, la Francia è arrivata nel 1910. Il rugby non vive di exploit, ma di esperienza. Continuate così, avete talenti grandissimi come Parisse, Castrogiovanni, Benvenuti e le vostre franchigie (Benetton e Aironi) battono o fanno soffrire le nostre province. Presto batterete anche l'Irlanda. Magari oggi no, per favore».

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La presenza di religiosi irlandesi che erano, e sono, pure notevoli rugbysti, ha lasciato più di una traccia. 

La seconda linea che celebrò le nozze del pilone

La domenica c’era da aspettare che avessero finito di dire messa e dopo la partita andavano subito accompagnati in collegio, ma che rugbysti quei preti irlandesi! Tra gli anni ’60 e ’70 la Lazio e la Roma Olimpic si erano spartite le miniere cittadine di talenti a costo zero. Per i biancocelesti, Mario Ricciardi pescava tra i religiosi del collegio di Propaganda Fide (soprattutto australiani, tra cui l’asso John Cootes, il prete bello), mentre il compianto Fernando Bigonzoni metteva le maglie bianconere agli irlandesi del Pontificio collegio: anche il più scarso di loro sapeva stare in campo e poi di tanto in tanto capitavano diamanti come il nazionale O’Leary. I preti irlandesi, del resto, dall’inizio del secolo insegnavano i 10 comandamenti del rugby ai romani. «Erano assai cordiali - racconta l’azzurro Maurizio Bocconcelli, pilone della Roma - Amavano giocare e le società erano ben liete di accoglierli. Si cementavano pure forti amicizie: io e la mia fidanzata, per dire, nel 1972 scegliemmo di farci sposare da una seconda linea, padre Dermott Dorgan. Considerati i figli e nipotini che ci sono arrivati, la sua benedizione si è rivelata efficace come le sue prese in touche».

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