Rugby, Sei Nazioni: Irlanda-Italia 50-17, gli azzurri di Smith travolti a Dublino nel primo match a porte chiuse del Torneo

Rugby, Sei Nazioni: Irlanda-Italia 50-17, gli azzurri di Smith travolti a Dublino nel primo match a porte chiuse del Torneo
di Paolo Ricci Bitti
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Sabato 24 Ottobre 2020, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 30 Ottobre, 21:47

Con il pubblico o senza, non cambia la musica per l'Italia del rugby che nel recupero del IV turno del Sei Nazioni viene piallata 50-17 ( 1° t. 24-3) dall'Irlanda, ovvero 7 mete a due, chiarendo la prima delle nostre viene da un intercetto di Padovani quando il tabellone indicava 24-3 al 54' e la seconda, per quanto magnifica fiammata di gran classe del debuttante Paolo Garbisi, è arrivata nel primo minuto di recupero.

Il fatto che all'Aviva Stadium a Lasdowne road non ci fosse il pubblico per colpa del lockdown da Covid, non è un dettaglio da poco, perché dall'avvio del Torneo, nel 1883,  e in 1.298 partite non era mai accaduto che si chiudessero le porte: una circostanza storica, insomma, tenuto conto che quando si parla di rugby a questo livello la presenza dei fedeli e dei loro canti e delle loro birre, mischiati senza barriere sulle tribune e nelle feste prima e dopo il match, fa indissolubilmente parte del gioco.  

Già, che tristezza per gli inni nello stadio deserto con i giocatori distanziati e non abbracciati come una muraglia. Che poi che soluzione è tenere separati giocatori che fra pochi istanti daranno vita al gioco di contatto per antonomasia? Per di più parte dell'inno dell'Irlanda, che nel rugby include anche quella del Nord, si chiama Shoulder to shoulder, spalla a spalla. Macchè, un metro tra una spalla e l'altra. Poi tocca a un minuto di silenzio contro il razzismo: dagli spalti non si ode neppure un colpo di tosse. Ed è pure peggio il sonoro registrato del pubblico che non c'è inserito dalla regia come nelle sit-com.

Ebbene sì, tutta una grande malinconia a cui non eravamo preparati e che speriamo venga presto a terminare. Invece alla solita malinconia dell'Italia che straperde, quella, abbiamo fatto il callo: siamo al 26° ko consecutivo e del XV odierno schierato da Smith c'era un solo superstite (Morisi) dell'ultimo successo azzurro, nel 2015 a Murrayfield. Tutti gli altri dei 23 a lista, eccetto i tre debuttanti, non hanno conosciuto che il fiele della sconfitta.

Smith, a quasi 8 mesi dall'ultima partita e contro irlandesi già rodati da parecchie settimane di gioco ad alto livello nelle coppe europee, ha iniettato linfa giovane nel gruppo ma fin dall'inizio è stata evidente la differenza di classe fra gli irlandesi e gli Italiani. Si salvano Polledri, mai sotto la sufficienza, e appunto Garbisi per la verve dimostrata, il discreto gioco al piede e la meta finale, una magia con una finta che ha ingannato pure i provetti cameramen irlandesi. Un ottimo talento su cui investire, ma certo che ne servono molti altri.

Come al solito ci siamo spesso fatti male da soli, quando avevamo cioé il possesso del pallone che per 8 volte almeno abbiamo restituito ai diavoli verdi che invece non sprecano un ovale. In affanno in difesa fin dall'avvio, con una prima linea assai sofferente davanti a veterani come Healy che vanta più cap di tutti la maschia azzurra, abbiamo finito per lasciare autostrade agli avversari avvantaggiati da 25 placcaggi sbagliati su 142.

Un'enormità: quasi un sesto del totale rispetto al decimo, e anche meno, degli irlandesi. E se nel rugby non placchi, soprattutto nell'uno contro uno, non si arriva da nessuna parte. E mettiamoci pure 4 preziose touche gettate alle ortiche

Tre mete nel primo tempo, quattro nel secondo, durante il quale i verdi hanno pure rifiatato dopo aver eseguito il compito di conquistare anche il punto di bonus per andare il testa alla classifica: c'è poco altro dire se non ricordare il manifesto della nostra impotenza, della nostra incapacità di avanzare palla in mano, di concretizzare il possesso: dal 31' al 34 gli azzurri si sono insediati a un amen dalla linea di meta irlandese inanellando la bellezza di 17 fasi, un portento, una carica a testa bassa dopo l'altra, poi la palla è sgusciata di mano, è finita agli irlandesi che hanno contrattaccato per 100 metri segnando con l'esordiente Keenan, lui sì fortunato ad essere svezzato in una squadra vincente. Sipario, in attesa dell'Inghilterra a Roma sabato prossimo.

Il tabellino

Irlanda v Italia 50-17
Marcatori: p.t. 3’ cp. Garbisi (0-3); 8’ m. Stander tr. Sexton (7-3); 14’ cp. Sexton (10-3); 29’ m. Keenan tr. Sexton (17-3); 35’ m. Keenan tr. Sexton (24-3); s.t. 14’ m. Padovani tr. Garbisi (24-10); 21’ m. Connors tr. Sexton (31-10); 25’ m. Sexton (36-10); 28’ st. m. Aki tr. Sexton (43-10); 40’ m. Heffernan tr. Byrne R. (50-10); 41’ m. Garbisi tr. Garbisi (50-17)
Irlanda: Stockdale; Conway, Ringrose (27’ pt. Henshaw), Aki, Keenan; Sexton (cap, 31’ st. Byrne R.), Murray (26’ st. Gibson-Park); Stander, Connors, Doris; Ryan (21’ st. Dillane), Beirne; Porter (21’ st. Bealham), Herring (10’ st. Heffernan), Healy (15’ st. Byrne E.)
all. Farrell A.
Italia: Hayward; Padovani, Morisi (14’ st. Mori), Canna, Bellini; Garbisi, Violi (32’ st. Braley); Polledri, Steyn, Negri (27’ st. Mbandà); Cannone (7’ st. Sisi), Lazzaroni (21’ st. Meyer); Zilocchi (7’ st. Ceccarelli), Bigi (cap, 7’ st. Lucchesi), Fischetti (7’ st. Ferrari) 
all. Smith
arb. Carley (Inghilterra)
g.d.l. Pearce (Inghilterra), Adamson (Inghilterra)
TMO: Foley (Inghilterra)
Cartellini: 3’ p.t. giallo Murray (Irlanda)
Note: terreno in perfette condizioni. Gara disputata a porte chiuse. Esordio in Nazionale per Paolo Garbisi, Gianmarco Lucchesi e Federico Mori.
Guinness Player of the Match: Connors (Irlanda)
Calciatori: Garbisi (Italia) 3/3; Sexton (Irlanda) 6/7; Byrne R. (Irlanda) 1/1

L'attesa

E' un evento amaramente storico questo Irlanda-Italia, all'Aviva Stadium di Dublino, recupero del quarto turno del Sei Nazioni 2020 terremotato dalla pandemìa Covid: e ne siamo tutti, nostro malgrado, protagonisti perché per la prima volta dal dal 1883, anno del del debutto del più antico torneo a  squadre del mondo, e  dopo 1.298 partite, non ci sarà nemmeno un fedele allo stadio della capitale irlandese in lockdown. Tutti noi davanti alla tv, al computer, al cellulare, solo o con qualche familiare, se va bene in piccoli gruppi ben distanziati nelle club house, tutti senza poter invidiare l'amico - almeno uno c'è sempre che riesce a partire - che trepida per noi alla stadio, a pochi passi dagli azzurri. Il rugby di questo livello, il massimo, senza pubblico, senza la festa del pubblico prima, durante, e dopo la partita non è rugby: è un'altra cosa, forzata, messa in piedi a dispetto dei Santi solo per non perdere i diritti televisivi. Proviamo allora, anche se sappiamo la verità, a farcelo piacere nell'attesa speriamo breve che riparta la piena felicità del Sei Nazioni. 

IL PROGRAMMA

Recuperi del Sei Nazioni, IV turno (dirette DMax): oggi alle 16.30 Irlanda-Italia 50-17, alle 21 Francia-Galles. Classifica: Irlanda 14; Inghilterra e Francia p. 13; Scozia p. 10; Galles p. 7; Italia p.0. 

Irlanda-Italia

Aviva Stadium - Dublino

Calcio d'inizio alle 16.30 diretta DMax

Irlanda: 15 Jacob Stockdale, 14 Andrew Conway, 13 Garry Ringrose, 12 Bundee Aki, 11 Hugo Keenan, 10 Jonathan Sexton (cap.), 9 Conor Murray, 8 CJ Stander, 7 Will Connors, 6 Caelan Doris, 5 James Ryan, 4 Tadhg Beirne, 3 Andrew Porter, 2 Rob Herring, 1 Cian Healy.
A disp. 16 Dave Heffernan, 17 Ed Byrne, 18 Finlay Bealham, 19 Ultan Dillane, 20 Peter O’Mahony, 21 Jamison Gibson-Park, 22 Ross Byrne, 23 Robbie Henshaw

All. Andy Farrell

Italia: 15 Jayden Hayward, 14 Edoardo Padovani, 13 Luca Morisi, 12 Carlo Canna, 11 Mattia Bellini, 10 Paolo Garbisi, 9 Marcello Vioili, 8 Jake Polledri, 7 Braam Steyn, 6 Sebastian Negri, 5 Niccolò Cannone, 4 Marco Lazzaroni, 3 Giosuè Zilocchi, 2 Luca Bigi (cao.), 1 Danilo Fischetti.
A disp. 16 Gianmarco Lucchesi, 17 Simone Ferrari, 18 Pietro Ceccarelli, 19 David Sisi, 20 Johan Meyer, 21 Maxime Mbanda, 22 Callum Braley, 23 Federico Mori

All. Franco Smith

Arbitro: Matthew Carley (Inghilterra)
TMO: Tom Foley (Inghilterra)

LA PRESENTAZIONE

Ricordate il rugby del Sei Nazioni, il torneo a squadre più antico del mondo, quello bloccato ormai otto mesi fa dalla pandemìa Covid? Ecco, proprio quello: oggi riparte a Dublino con Irlanda-Italia alle 16.30 all’Aviva Stadium, ma c’è qualcosa che non torna a Lansdowne Road e magari fosse il pronostico che invece resta inchiodato nell’annunciare il ventiseiesimo ko di fila per gli azzurri e con uno scarto di almeno 20 punti. E’ che mancherà, del tutto, il pubblico, mancheranno i fedeli che già belli carichi di canti e birra raggiungono dal 1872 quella collina dublinese per godere di atletica, calcio e rugby, con il treno che tutt’ora passa sotto la tribuna principale facendola tremare sotto i piedi. Non era mai accaduto, come non era mai accaduto che si giocasse in una città in lockdown: proprio Dublino che, salvo che per le due guerre mondiali, ha sempre ospitato la grande festa del Torneo anche in situazioni terribilmente difficili. 

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La questione irlandese. Badate che ci sono stati anni e anni nerissimi in cui la tensione per la Questione Irlandese era terribile, ma senza che questo fermasse i rimbalzi sghembi della palla ovale se non nel 1972. The Championship (ché non c’è nemmeno bisogno di specificare) è nato nel 1883 con Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda, poi dal 1910 con la Francia infine dal 2000 con l’Italia, con l’attuale 126a edizione funestata dal coronavirus: 1.298 partite, tutte con il pubblico anche quando da queste parti erano in corso temutissime epidemie ovine di Lingua blu che al più hanno causato lo slittamento dei match in autunno.

Ma mai i giocatori si sono sfidati davanti a nessuno, senza gli inni e senza le canzoni della tradizione popolare cantate a squarciagola. Una partita del Torneo senza pubblico? Si fa persino fatica ad immaginarla. Una iattura contronatura, un matrimonio senza invitati, la festa di compleanno del guardiano del faro. Il rugby è nato nelle scuole inglesi a metà Ottocento con studenti e insegnanti che si ammassavano a bordocampo.

Nell’arco di tre secoli non si era mai visto un capolavoro come un match del Championship senza cornice: il poeta Louis MacNeice nel ‘38 ha persino scritto The Rugby Football Excursion sulla trasferta dei tifosi inglesi fino a Dublino. Tifosi, come si è appreso anche a Roma dal 2000, che fanno festa insieme, mischiati prima, durante e dopo la partita senza mai causare problemi di ordine pubblico. E’ desolante, in questo rugby a porte chiuse, sentire distintamente i giocatori che in campo chiamano gli schemi con le parole che riecheggiano di tribuna deserta in tribuna deserta come in un canyon.

Si deve giocare a dispetto dei Santi, con gli azzurri che resteranno a Dublino meno di 24 ore rinchiusi in una bolla tra aereo, bus, hotel e stadio e niente terzo tempo (il banchetto fra le squadre e gli arbitri) perché le federazioni sono in ginocchio e non possono rinunciare ai dobloni dei diritti televisivi, ma che amarezza. Il rugby, a questo livello, è con il pubblico oppure non è, non dovrebbe essere.

Hitler

Non sono mai stati, i fedeli della palla ovale, un contorno che si può anche non mettere in tavola. A Hitler consigliarono, se voleva mettere in ginocchio l’Inghilterra, di bombardare Twickenham il pomeriggio del secondo martedì di dicembre: dal 1872 si affrontano le squadre delle università di Oxford e di Cambridge. Sulle tribune dello stadione, che si riempie, siedono in alto gli studenti più giovani mentre gli ex alunni, fino ai centenari, si accomodano via via nelle file più in basso. A Twickenham, quel giorno, ci sono una parte preponderante della classe dirigente inglese, dai primi ministri ai tycoon, dai grandi industriali ai cattedratici, e coloro che il paese lo reggeranno negli anni seguenti. E poi che incassi svaniti: oggi, senza pubblico, la federazione irlandese dice addio a 8 milioni di euro, un match a Londra vale 12 milioni di sterline. Roma, sabato 31 ottobre per Italia-Inghilterra senza i 20mila fedeli in maglia bianca attesi a marzo, perderà 20 milioni di euro di indotto.

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Detta tutta, l’Italia senza la festa del pubblico ci rimette il doppio non potendo contare che su rare vittorie. Vedremo oggi se il ct Smith, che lancia giovani assai interessanti come il ventenne Paolo Garbisi in regia, riuscirà a colmare almeno un po’ questi vuoti. L'allenatore sudafricano, dopo i primi tre turni in cui aveva dovuto mettere insieme in pochi giorni i cocci lasciati da O'Shea, schiera finalmente una squadra a sua immagine in cui il grado di combattività ("ignoranza" ricorda Marco Paolini) del giocatore vale almeno quanto la tecnica. Il solo over 30 è Hayward e l'età media è scesa a 23 anni con una bella scelta di ventenni o poco più provenienti come Garbisi dalla filiera federale, ragazzi abituati anche a vincere: nelle under azzurre hanno battuto Inghilterra, Scozia e Galles per dire, lusso che i "grandi" non si godono dal 2015, con l'ultima vittoria in casa che risale persino al 2013. Garbisi, veneziano, davanti oggi ha giusto Jonny Sexton, da un decennio la migliore apertura europea, una glaciale macchina da punti: ha 35 anni ma non si vede.

Dell'età Smith, del resto, dell'età se ne frega perché a casa sua c'è un magnifico detto: se sei bravo, hai l'età giusta per giocare (ma anche per mandare avanti un'azienda).

Da tenere d'occhio il galoppante Federico Mori, 20 anni appena compiuti, grandi mezzi atletici e tre taglie in più dello zio Fabrizio, campione mondiale dei 400 metri ostacoli a Siviglia 1999. E la sorella è Rachele, record giovanile italiano nel lancio del martello.

Smith manderà in campo anche anche il neo cavaliere Maxime Mbandà, romano-milanese, terza linea delle Zebre, sopravvissuto ai mesi in cui ha scelto di guidare le ambulanze della croce gialla di Parma cariche di malati di Covid. Un volontariato da prima linea che ha spinto il presidente Mattarella a nominarlo appunto cavaliere.

Minozzi assente più che gistificato

Ah, non ci sarà il nostro attaccante più brillante, Matteo Minozzi, giustamente lasciato al club dei Wasp che sempre sabato 24 ottobre alle 19 nel tempio di Twickenham affronterà gli Exeter Chief tentendo di diventare il secondo italiano a vincere lo scudetto inglese dopo Martin Castrogiovanni che con il Leicester ne ha messi quattro in bacheca. Auguri. 

 

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