Rugby, Fischetti dai Castelli alla Nazionale, vita da pilone: «Spezziamo la maledizione delle sconfitte»

Rugby, Fischetti dai Castelli alla Nazionale, vita da pilone: «Spezziamo la maledizione delle sconfitte»
di Christian Marchetti
3 Minuti di Lettura
Sabato 22 Febbraio 2020, 10:12
L’ attore Marco Paolini descrive i piloni di un tempo e in testa costruisci colossi fatti di fango e cazzotti che, dopo 80 minuti di una partita nella partita, chiedono ai compagni: «Chi ha vinto?». Il pilone moderno come Danilo Fischetti è invece summa e sostanza del fango, dei cazzotti, ma anche di responsabilità, agilità, visione di gioco, fiutando spazi dove non passerebbe nemmeno un folletto delle fiabe, figuriamoci un ragazzo di 181 cm e 110 kg. Giovanotto di Aprilia, nato 22 anni fa a Genzano, fa sentire il fisico e la testa e dopo due presenze nell’Italia di Franco Smith vuole ritagliarsi un posto tutto suo da pilone titolare. Sinistro, per giunta. Ruolo per indomiti soldati di trincea. Gli inizi nella Garibaldina Aprilia, l’amore per il rugby che nasce sui banchi della scuola media; poi il Lanuvio, la Capitolina, l’Accademia federale. Nel massimo campionato col Calvisano, dove vince lo scudetto 2018/’19 e il titolo di migliore del Top 12 (primo nella storia nel suo ruolo); infine la chiamata alle Zebre e, nello scorso ottobre, una “strana” convocazione in azzurro.

Il diritto e l'orgoglio dell'Italia di giocare con le stelle del rugby del Sei Nazioni
Rugby, Italia sfida Scozia nel Sei Nazioni Speciale in edicola con il Messaggero


Fischetti, la storia la conosciamo, ma ce la racconta dal suo punto di vista?
«In quei giorni guardavo il Mondiale in tv con i miei compagni alle Zebre quando ho ricevuto la telefonata e allora via, sul primo aereo per il Giappone. Solo io e Zilocchi. Se ci penso mi viene da ridere».

Lì non ha riso molto.
«Purtroppo no. Dopo due giorni di allenamento per gli All Blacks la mazzata: match cancellato per tifone».

Il debutto però è arrivato. Al Sei Nazioni e si è rifatto con gli interessi.
«Davvero un sogno essere arrivato fin qui. L’esordio a Cardiff, importante a livello emotivo. Quanto all’esito di quel match, peccato non essere riusciti a fare ciò che volevamo. A Parigi contro la Francia, invece, abbiamo mostrato qualcosa di buono. Tante cose da migliorare, ma anche alcune belle».
Una squadra in crescita?
«Vive un’evoluzione. Abbiamo capito quale sia la strada da seguire».
Al Sei Nazioni il successo manca da cinque anni. Brutto fare i conti con un’ossessione?
«Effettivamente si avverte questa leggera tensione. Ma è una sensazione positiva».
La tensione, lei, prima di Cardiff, l’ha stemperata grazie a una chiacchierata.
«La telefonata con mio padre, già. Mi ha motivato e caricato. Non sono solito avvertire pressione, ma esordi di quel tipo non capitano tutti i giorni! Anche lui ha giocato. All’ala. Mio fratello Marco, 12 anni, invece è apertura. Io sono l’unico giocatore di mischia in famiglia».
Pilone da sempre?
«Macché, iniziai centro! In Accademia mi provarono anche tallonatore, ma in Nazionale Under 17 il tecnico Paolo Grassi mi disse: “Sarai pilone sinistro, punto”».
E oggi è un professionista e i problemi sono altri. Come si pone, per esempio, nei confronti delle critiche all’Italrugby?
«Cerco di prenderla come un punto di partenza per non riceverne altre».
Ma qual è lo stato di salute del rugby italiano?
«Una parola: crescita. Ho visto tanti papà portare i figli al calcio per poi proporre loro il rugby, così, tanto per provare, fino a veder nascere un amore per il nostro sport».
A proposito di calcio, lei non nasconde la sua fede romanista trasmessagli dai cugini.
«Se è per questo mi portarono anche a praticarlo, il calcio.Un anno al Pomezia. Ero un attaccante bello grosso (ride)».
Chi verrà a vederla all’Olimpico?
«Praticamente tutti. E tutte le società con cui ho giocato, alcune hanno già organizzato dei pullman». 
E pure questa è una bella responsabilità. Ma Danilo Fischetti cosa può dare al rugby italiano?
«Spero tanto e contribuire a portare questa squadra tra le più forti, dove merita. Fermarsi? Sarebbe troppo semplice».
© RIPRODUZIONE RISERVATA