Morto Gilbert Doucet, l'allenatore che nel 2000 guidò la Rds Roma Rugby alla vittoria dello scudetto Foto

Gilbert Doucet
di Paolo Ricci Bitti
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Mercoledì 8 Luglio 2020, 18:24 - Ultimo aggiornamento: 20:04
Lo chiamavano - nelle arene del durissimo rugby francese del Sud Ouest - "Doudou" o "Doudouce", ma Gilbert Doucet era tutto meno che un tipo frivolo, come dimostrò nel 2000 riportando lo scudetto a Roma dopo 51 anni d'attesa. Ieri notte a  La Seyne-sur-Mer il condottiero gallo che aveva riconquistato la capitale ha passato per l'ultima volta la palla: un infarto ha portato via l'ex terza linea di Tolone, 64 anni, che ha così raggiunto l'altro architrave di quel trionfo al Flaminio, il presidente Renato Speziali che il rugby romano e italiano non ringrazierà mai abbastanza. "Per la gloria del nome" identifica dal 1930 la Rugby Roma Olimpic Club e Gilbert Doucet, con quello scudetto (il quinto nella storia del club), è fra coloro che hanno contribuito a "incidere a fuoco" un capitolo decisivo nella storia del rugby italiano, come scrive adesso la nuova società che fra mille difficoltà ne continua a onorare la tradizione dopo il declino iniziato già nel 2004.

Uno scudetto, quello del rugby di 20 anni fa, che per Roma valeva triplo perché si affiancava a quello del calcio, vinto dalla Lazio, e quello del volley, la Piaggio: la capitale d'Italia e dello sport italiano.



In Francia il primo a ricordare con affetto e rispetto Doucet è stato direttamente il presidente della Federazione nonché ex sottosegretario allo Sport e vicepresidente di World Rugby (la Fifa ovale), Bernard Laporte. In Italia lo hanno ricordato tutti i suoi ragazzi che ai suoi ordini si dimostrarono pronti a tutto, a combattere non solo contro solo le grandi del rugby italiano, insomma, le squadre venete come Rovigo, Padova e Treviso, ma contro, soprattutto, il pregiudizio che voleva per sempre sbarrata la strada che avrebbe riportato lo scudetto a Roma dopo una traversata del deserto lunga due generazioni.
 
E allora ecco i messaggi commossi di Caione (il capitano), Massimo Cuttitta, Roselli, Carlo Pratichetti (campione d'Italia a 37 anni!), De Angelis, Raineri, Mazzi, Lo Cicero, protagonisti di quella cavalcata meravigliosa della Rds terminata al Flaminio con la ripassata all'Aquila Rugby messa al tappeto esattamente 20 anni fa 35-17, annichilita da un primo tempo travolgente dei bianconeri: al the il tabellone del Flamnio riportava 30-0, fra gli applausi di 16mila fedeli, compreso il sindaco Rutelli. 



Renato Speziali, il presidente gentleman, aveva fortissimamente voluto Gilbert Doucet per riconquistare quel titolo ormai divenuto la sua prima ragione di vita dopo 17 anni al timone del club. Nella prima stagione già un bagliore, la vittoria della Coppa Italia, nella seconda lo scudetto in cui non c'era proprio nulla di miracoloso anche se "Doudou" stava al gioco quando gli ricordavano che era nato nel santuario, allora anche ovale, di Lourdes. Terza linea con grande visione del gioco, Doucet aveva vinto lo Scudo di Brennus con il Tolone nel 1987. Da allenatore ha allenato anche a Bayonne e Grenoble, mentre in Italia, dopo i fasti romani, ha portato per due volte in finale il Calvisano. Il suo nome compariva periodicamente fra i papabili per la guida degli azzurri. La cifra di Doucet? Il carattere: competenza ed esperienza erano eccellenti, ma a Roma per vincere lo scudetto serve di più. Amava tattiche equilibrate e non avrebbe mai chiesto ai mediani Mazzi e Pez di rifugiarsi in un gioco a 10 uomini perché, da francese, per avendo giocato nel pack, godeva delle sventagliate dei trequarti. Però prima lui lavorava sul "mentale", del singolo e del gruppo. Non faceva sconti, ti affrontava a muso duro se non ubbidivi, pronto comunque ad ascoltare le tue ragioni se espresse nei modi e nei tempi giusti. 


Gli articoli del Messaggero sulla vittoria dello scudetto della Rds Roma nel 2000

di Paolo Ricci Bitti
ROMA - In uno di quei giorni in cui gli Dei dispensano solo sorrisi, lo scudetto del rugby torna a Roma dopo 51 anni. Le ellissi morbide del Flaminio per 16mila fedeli (record per il campionato ovale e per il resto dello sport italico, moloch calcio escluso), il sole, il vento fresco dal mare, l'inno di Mameli (altro atout delle mischie) e la Rds Roma che ricama un primo tempo stregato da tre mete perfette.



Finisce, il primo tempo, 30 a zero e ce ne sarebbe già abbastanza per satollarsi, con L'Aquila stordita da tanta potente armonia e schiacciata da quello che sarebbe quasi un 4-0 nel pallone rotondo, ma invece la ripresa distilla altri 40 minuti di combattimento: tre mete stavolta abruzzesi, i romani che vacillano dalla colonna su cui si erano già issati, poi la fuga del romano Roselli che è un'ala e vola davvero al 71' sulla touche a sinistra per soffocare ogni paura: finisce 35 a 17, con la Roma che negli ultimi minuti dà un'altra lezione di puro rugby.

La partita è segnata, è vinta, è già il trionfo tanto atteso, ma nessuno dei 15 bianconeri si tira indietro per respingere sulla linea dei pali L'Aquila che nel recupero attacca furibonda per l'onore dell'ultima meta. Eddai, perché incassare altri colpi sul muso, perché tirare altri placcaggi dopo tanta battaglia, perché negare una meta inutile? No, finisce 35 a 17. E' il quinto titolo per la Roma (1935, '37, '48 e '49). Renato Speziali, il presidente gran signore anche nei tempi cupi dell'egemonia veneta caccia giù l'emozione, ma non ce la fa, piange; Pratichetti, il veterano di 37 anni, idem e piangono anche Silvestri, Duce, Zaccaria che di anni ne hanno più il doppio perché loro lo scudetto l'avevano vinto nel 1949. Il primo tempo perfetto della Rds scatta al 2' quando Pez, 21 anni, oriundo argentino già simil-Dominguez, rimbalza un ovale calciato dall'apertura aquilana Va'a e lo spinge a calci fin sotto i pali: 7-0. Dopo un quarto d'ora in cui L'Aquila non riesce a dire "ba", sempre Pez apre a sinistra, salta i centri, allunga a Camardon che serve Alfredo De Angelis: l'estremo rivelazione reatino ha due aquilani davanti e meno di un nano-secondo per innescare Roselli. Quel nano-secondo basta.



Grazie a quel flip-pass da emisfero sud Roselli marca la più bella meta della stagione: 17-0 perché intanto l'immacolato Pez ha infilato anche il primo dei suoi tre penalty. Dopo tanta eleganza, la potenza di Raineri che rompe tre placcaggi e schiaccia in mezzo ai pali al 30': ovvero 30 a zero con la Rds ordinata e lucida che fa sempre sembrare facili le cose più difficili. E' ciò che rende grande una squadra. E ciò che indica quanto efficace sia stato il lavoro di Gilbert Doucet, il tecnico di Lourdes, il gallo che ha riconquistato Roma. E' vero che dei 16mila del Flaminio almeno 9mila sono aquilani, ma come si fa a ripartire da meno 30 in casa altrui? Si fa così, si fa come l'allenatore dell'Aquila Mike Brewer (neozelandese all black) ha predicato fin dal suo primo allenamento, quando la moglie, visto il parco-giocatore, gli suggerì: «Torniamo a casa». Invece Brewer chiede a suoi di non darsi mai vinti.

Eccoli: tre touche e tre ripartenze e tre mete (Privitera, Watson e Zaffiri, il capitano di 22 anni). L'Aquila si porta sul 30 a 17 già al 62' e non perde più un pallone. Ahiahiahi, vuoi vedere che... No, capitan Caione (un aquilano) irrigidisce la mascella identica a quella di Kevin Kostner e fa serrare i ranghi: siamo uomini o gladiatori? Gladiatori. E "tutti insieme come un sol uomo, si diventa imbattibili", com'è scritto nelle t-shirt fatte stampare dalla Rds citando Russell Crowe nel Gladiatore di Ridley Scott. Ecco il pallone calciato da Pez che schizza benevolo verso Roselli: meta. Vittoria. Scudetto.


di Maurizio Bocconcelli

ROMA - Cominciamo subito con la promessa strappata al sindaco Rutelli, presente in tribuna, da parte dei neo campioni d’Italia di festeggiare al Colosseo lo scudetto. D’altronde il grande striscione posizionato in Curva sud era esplicito: ”Il Flaminio come il Colosseo. Combattete SPQR”. Gioia grandissima a fine partita negli occhi, nel cuore, nelle parole dei giocatori romani ma anche fierezza e voglia di ricominciare domani in quelli aquilani. Roselli, una presenza importante nel match, specie in occasione della sua seconda meta, quella che ha praticamente fatto ritornare dopo 51 anni lo scudetto a Roma, non ha dubbi: «Abbiamo scaricato in campo sin dall’inizio la rabbia, la voglia di cominciare al 150 per cento perché sapevamo che l’Aquila andava aggredita e non fatta ragionare. Dopo il 30-0 del primo tempo mi aspettavo la rimonta aquilana perché non si arriva in finale se non hai un grande carattere. Quando ho avuto la palla buona sul finire della ripresa ho pensato che dovevo andare in meta perché la finale è una partita maledetta, dove puoi buttar via anche anni di lavori. Mi sono tuffato e ho pensato, è finita!». Dicono a Doucet, ci voleva un uomo di Lourdes per fare il miracolo di riportare a Roma lo scudetto che mancava dal 1949. «Grande fede K dice il coach francese K ma anche grande sete di vittoria. Abbiamo preparato con determinazione questa partita». Caione, capitano dei romani, mezzo cuore aquilano e uno scudetto vinto nel ’94 con i neroverdi, se la cava diplomaticamente: «Un successo per tutte e due le squadre. Per noi una vittoria meritata che corona una stagione in cui siamo riusciti a crescere assieme giorno dopo giorno credendoci sempre». 





La Federazione

"La Federazione Italiana Rugby ha appreso con profonda tristezza la notizia dell’improvvisa scomparsa, avvenuta martedì, di Gilbert Doucet - scrive la Fir in un comunicato - l’allenatore che nell’anno del Giubileo (2000) condusse la Rugby Roma alla conquista del suo quinto Scudetto, superando allo Stadio Flaminio L’Aquila Rugby 35-17".

 
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