Mete e miti del rugby: 20 anni di emozioni in azzurro nel Sei Nazioni

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di Piero Mei
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Sabato 16 Febbraio 2019, 17:16 - Ultimo aggiornamento: 21:32
Il fascino discreto del rugby si racchiude probabilmente in quel celebre aforisma: Il rugby è uno sport bestiale giocato da gentiluomini, il calcio è uno sport da gentiluomini giocato da bestie, il football Usa è uno sport da bestie giocato da bestie. E' talmente famoso questo paragone che i citazionisti di pronto intervento lo attribuiscono in maggioranza a Oscar Wilde, qualcuno a George Bernard Shaw, scrittori fulminanti, e invece il copyright è in un giornalista americano, perché la azzeccano anche i giornalisti contrariamente a quel che pensano e dicono i politici. Il suo nome: Henry Blaha.

SACERDOTI E DEVOTI
Sarà per questo interscambio fra uomini e bestie che il rugby ha avuto (ed ha, ed avrà) sacerdoti e devoti di splendido splendore: anche Papa Francesco pare che abbia fra i suoi trascorsi sportivi qualche mischia con la maglia della sua San Lorenzo de Almagro; di sicuro Ernesto Guevara de la Serna, sì, il Che, lo praticava con successo. E Russell Crowe probabilmente ha pensato per la prima volta su di un campo da rugby la frase che l'ha reso famoso come Massimo Decimo Meridio, il Gladiatore, al mio segnale scatenate l'inferno. Quell'inferno che, ha detto qualcuno, i giocatori di prima linea del rugby non avranno nell'Aldilà, essendosi garantiti il Paradiso tramite l'Inferno che hanno vissuto durante le partite.

Qualcun altro ha fatto caso, e non è una nota banale, che gli inglesi chiamano rugbyman lo sportivo con la palla ovale, e non rugby player cioè giocatore, come l'atleta di altre discipline: uomo del rugby, cioè. Il rugbista non gioca nel mondo di tutti gli altri giocatori: lo fa in uno che è soltanto suo, dei suoi sodali e dei suoi ammiratori, pellegrini dello sport che si muovono per il mondo.

In Europa per Sei Nazioni le quali, da venti tornei a questa parte, comprendono anche l'Italia: sono l'Inghilterra, il Galles, la Scozia e l'Irlanda (del Nord o del Sud non fa differenza: la squadra è una sola, il trifoglio per bandiera), cioè tutto il Regno Unito, e la Francia, oltre al Belpaese. Il quale entrò nel club in una bella giornata, il 5 febbraio del 2000, in uno Stadio Flaminio che non era la disperazione che è diventato in vent'anni, e sconfisse la squadra della Scozia che era la vincitrice dell'edizione precedente.

LA PRINCIPESSA
Ci rimase di sale la principessa Anna d'Inghilterra, in kilt d'ordinanza come tutti gli spettatori e spettatrici venuti dalla Scozia e le passò ogni urgenza tanto che rese uno spreco la spesa che era stata fatta in suo onore, una stufa elettrica per il bagno dei vip, tante volte Sua Altezza ne avesse bisogno. Il re del giorno fu Diego Dominguez che piazzò 29 dei 34 punti dell'Italia (la Scozia si fermò a 20) e che, per via del nome e dell'origine argentina (ma con madre milanese, il che valse a lui e alle fortune del rugby azzurro il passaporto italiano) veniva chiamato il Maradona della palla ovale.

L'ottima partenza non ha avuto, per la verità, un altrettanto fulgido sequel: su 96 partite disputate da allora, sono cinque ogni torneo, l'Italia ne ha vinte appena 12, s'è presa 8 cucchiai di legno che sono il trofeo ideale, come la maglia nera al Giro d'Italia, che va all'ultimo classificato quando non riesce a portare a casa nemmeno un successo. Ed ha una striscia di sconfitte (18)che nessuna delle Sei Nazioni faceva registrare da un secolo a questa parte: l'ultima fu la Francia nel 1920.

MAMME E PAPÀ
Un bilancio così in rosso avrebbe messo in crisi qualunque azienda, ma non la fabbrica del rugby: papà e mamme sono felici di mandare i pargoli a impararlo, perché non insegna gesti atletici e schemi soltanto, ma a stare insieme, a competere, a rispettare (tutto: i compagni con cui essere solidali, gli avversari con cui non essere nemici, le regole che sempre più spesso altrove, nello sport e no, sono un optional). C'è stato chi ha ventilato l'idea dell'Italexit, l'espulsione dell'Italia dal torneo per manifesta inferiorità, ma c'è chi sa bene che Roma non è, con tutto il rispetto, Bucarest o Tbilisi e dunque il richiamo non sarebbe lo stesso, né per i turisti della ovale né per la multimedialità che ci mette del suo, cioè paga.

E, poi, allo stadio i tifosi delle due squadre che s'affrontano li riconosci da come s'acconciano e si conciano, ma non dal posto che occupano. Tutto si mescola, Dio salva la Regina e il vicino di tribuna indossa l'Elmo di Scipio. Non ci si scambiano insulti ma tutt'al più boccali di birra. Il Terzo Tempo è una religione per il rugby: fu una scombiccherata sciocchezza quando cercarono di introdurlo nel calcio e lo tolsero subito: mai mettere le tifoserie a contatto. Nel rugby il contatto, in campo e no, è una ragione di vita. Amo il rugby non perché è violento, ma perché è intelligente, ha scritto una volta Françoise Sagan. Googlando s'impara che era una ragazza di 19 anni quando nel 1954 scrisse Bonjour tristesse. Anche se sarebbe meglio, molto probabilmente, googlare un po' meno, leggere un po' di più e praticare il rugby.
 
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