Alberto Minali, Cattolica Assicurazioni: «Condividiamo gli stessi valori del rugby»

Alberto Minali
di Paolo Ricci Bitti
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Sabato 16 Febbraio 2019, 17:22
dal nostro inviato

EDIMBURGO «Peccato per quella lentezza nella manovra, abbiamo pagato la perdita all'ultimo minuto prima del match del mediano di mischia Tebaldi», dice dalla tribuna di Murrayfield, Alberto Minali, 53 anni, da due ad di Cattolica Assicurazioni, neosponsor delle nazionali di rugby.

Già, vogliamo parlarne con il ct O'Shea?
«Ma no, ma no, lui è davvero uno che sa il fatto suo, è anche un ottimo manager. E, nonostante la sconfitta, resto ottimista sulle potenzialità degli azzurri».

Ottimista di sicuro, il gruppo veronese Cattolica ha legato il suo nome all'azzurro del rugby per sette anni: e non è che di vittorie ne siano previste tante per i prosssimi anni.
«Intanto l'Under 20 e la Femminile qui hanno vinto. E poi basta vedere una partita in uno stadio come questo, con in pratica tutta la Scozia che canta l'inno con un orgoglio che stordisce, per capire l'importanza della tradizione non solo nel mondo degli affari - Cattolica è stata fondata nel 1896 - ma anche in uno sport duro e leale come il rugby: noi siamo nel Sei Nazioni dal 2000, loro dal 1883. Nonostante ciò abbiamo recuperato tantissimo e ora tantissimo si sta costruendo».

Grazie anche al vostro sostegno, nonostante il vostro mercato, che vale 5 miliardi di euro di premi, sia prettamente italiano.
«Per ora siamo concentrati sul piano di sviluppo che prevede di aumentare il fatturato del 66% entro il 2020 in Italia, ma non è male farsi conoscere all'estero grazie a una nazionale che crede nei nostri stessi valori (onestà, gioco di squadra, sostegno reciproco, coraggio) e, soprattutto, li mette in pratica».

Insomma, il risultato tecnico può attendere?
«Sì, a patto che, come diciamo a noi stessi in Cattolica, si dia sempre il massimo. Ah, ma lo sa che il sindaco di un'importante città del Nord ci ha portato tutte le polizze municipali perché è appassionato di rugby. Ha detto che se sosteniamo questo gioco siamo sicuramente affidabili. E proprio uno come lui sa che sfidare la Scozia il Galles non è mica facile».

A Roma, per gli All Blacks, avete portato in tribuna all'Olimpico 2.300 dei vostri 3.300 fra dipendenti e agenti. Farete i turni per portare allo stadio anche i vostri 3,6 milioni di clienti?
«(sorride) Eh, perché no? Quella giornata di novembre è indimenticabile: abbiamo davvero fatto squadra e ancora oggi dalla Sicilia o dalla Val d'Aostra chiama qualcuno di loro per ringraziare: vedere fianco a fianco dipendenti e agenti non è una scena abituale. Ma ero certo che sarebbe stato magnifico. A 29 anni mi trovavo a lavorare in Inghilterra e ho fatto qualche partita a livello amatoriale. Nonostante avessi esperienze di arti marziali, ho scoperto dal vivo la grinta che serve per fare meta e placcare senza mai concedere sconti agli avversari, vivendo poi il clima di amicizia contagiosa che lega tutti i giocatori prima e dopo il match e nella vita di tutti i giorni».


 
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