Montezemolo: «Lauda e la Ferrari, storia di un amore infinito»

Niki Lauda e Luca Cordero di Montezemolo
di Gianluca Cordella
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Mercoledì 22 Maggio 2019, 09:30 - Ultimo aggiornamento: 10:32
Presidente, chi era Lauda?
«Uno dei più grandi campioni della storia di Maranello. Con Michael Schumacher, il più importante della Ferrari moderna. Un pilota in grado di vincere due mondiali, di cui uno davanti al pubblico di casa a Monza, e di perderne un terzo per mezzo punto nell’anno in cui ebbe il coraggio di tornare a correre dopo il terribile incidente. Un mito non solo per la Ferrari: vinse il terzo titolo con la McLaren dopo essersi ritirato, battendo un fenomeno come Prost».
La sua storia da ds della Ferrari cominciò con Niki. Si ricorda quel primo incontro?
«Era il 1973, andai a prenderlo all’aeroporto di Linate. Io trattavo il suo contratto e gli chiedevo quanto voleva. Lui mi rispondeva in scellini austriaci, ma io non sapevo a quante lire corrispondesse la cifra. Fui costretto a fermarmi alla prima edicola per comprare “Il Sole 24 ore” per capire cosa volesse. Poco dopo scoprii che aveva una Ford Capri. Gli dissi “non farti vedere a Maranello con quella... Enzo Ferrari non apprezzerebbe”».
Uno degli aneddoti più curiosi del vostro legame ci riporta in Olanda, nel 1975...
«Potrei raccontarle aneddoti per ore, ma quello di Zandvoort è il più significativo. Io fui investito ai box da Ronnie Peterson. Mi ero rotto spalla, gomito e un gamba e non potevo stare sul muretto a fargli le segnalazioni. A fine gara venne da me arrabbiatissimo. “tu stronzo, tu lasciato me solo, io abbandonato per metà corsa...”. Ero talmente dolorante che non avevo nemmeno la forza per mandarlo a quel paese».
E la routine di tutti i giorni invece com’era?
«Ci facevamo molti scherzi. Una volta, con il capo meccanico Cuoghi decidemmo di cambiargli qualcosa nella macchina, gli modificammo leggermente la sospensione anteriore. Andò su tutte le furie: “Cosa avete fatto? Mi avete cambiato tutta la macchina!”. Era attentissimo ai piccoli dettagli».
Tra un Gp e l’altro nacque un’amicizia vera.
«Durata 50 anni. Mi è stato sempre vicino. A ottobre 2014, quando annunciai che avrei lasciato la Ferrari, mi fece una telefonata bellissima. Tengo per me ciò che mi disse, ma non lo dimenticherò mai. Non abbiamo mai smesso di sentirci per commentare le gare. L’ultima volta venti giorni fa».
Tanti bei ricordi e uno tremendo, Nurburgring 1976.
«Una giornata terribile. I medici dissero che dipendeva da lui: da quanto sarebbe riuscito a lottare, senza addormentarsi. Il problema non erano le ustioni ma i gas tossici che aveva inalato. Lui mi raccontò che in quei momenti riusciva a sentire i dottori che dicevano queste cose e si sforzava di reagire, di restare sveglio. Un uomo con una grande forza e un grande coraggio».
Che lo spinsero anche a storici rifiuti come lo stop di Fuji.
«Perse il mondiale perché si rifiutò di correre sotto il nubifragio. Diceva che era troppo pericoloso e aveva ragione».
Come è stato da avversario?
«Uno che anche da rivale non ha mai smesso di seguire con affetto il mondo Ferrari».
E da imprenditore?
«Quando c’è stato il primo viaggio di Italo mi chiamò e mi disse “facciamo un grande accordo: Lauda Air (la sua compagnia) e Luca Train”. Gli risposi: “Ma io non sono presuntuoso come te, che usi il tuo nome”».
Come ripartirà la F1?
«Senza un personaggio come pochi. Niki era un mito al volante, ma è stato anche un grande ambasciatore della F1 fuori dalla pista».
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