LA LOTTA
Qualche anno fa ci fu Francesco Acerbi, il “muro” della Lazio, a dichiarare la sua lotta, quando ancora era al Sassuolo. È l’esempio più vitale, ora che è tornato da tempo in campo, e fa la buona sorte della Lazio e della Nazionale di Mancini. In questi ultimi tempi ha contemporaneamente commosso e incoraggiato Sinisa Mihailovic. Quando è tornato sulla panchina o in tribuna, tutti abbiamo applaudito. Non l’allenatore che pure lo merita, come dicono i risultati, ma l’uomo. Non è questione di panchina d’oro o altri premi del genere che finiscono per fare bella mostra in bacheca in casa. È questione che chissà quante persone si sono sentite più portare a lottare, a non arrendersi al male e, dicono, la voglia di lottare è una delle migliori medicine nelle circostanze. Anche Gianluca Vialli ha sciorinato la sua lotta. È una lotta che alterna sconfitte e vittorie, speranze e depressioni, ma che questi tre campioni del calcio hanno voluto combattere in pubblico, come facevano quando dribblavano, o tiravano quelle punizioni come Sinisa e pochi altri sapevano tirare. Ci fermiamo al calcio e all’attualità, altrimenti si potrebbero citare la tennista Francesca Schiavone, o lo schermidore Paolo Pizzo, divenuto, da guarito, campione del mondo. Ma è dal calcio, troppo spesso additato a “modello di molti mali” /qual è: il razzismo, la violenza, l’intolleranza) che viene questo soffio d’aria buona grazie a tre uomini che quando giocavano trascinavano le proprie squadre e incantavano i propri tifosi. Amati da loro, talvolta odiati, sportivamente s’intende, dagli avversari. Questo farsi testimoni del coraggo ha eliminato l’”odio”.
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