Roma ko con l'Inter, Totti allo stadio: nostalgia del «romanismo» sognando la rinascita

La presenza dell'ex capitano all'Olimpico tra cori e speranze

Roma ko con l'Inter, Totti allo stadio: nostalgia del «romanismo» sognando la rinascita
di Alessandro Catapano
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Domenica 5 Dicembre 2021, 09:13 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 11:58

Ah, che brutta bestia la nostalgia. Al minuto 60 di quella lunga, insopportabile agonia che è stata la partita (insomma, quella specie...) con l'Inter, il tifoso della Roma - impietrito nel suo seggiolino allo stadio o sprofondato nel divano di casa - ha avuto una fitta. Dolorosissima. Il pensiero e lo sguardo di chi era all'Olimpico sono andati immediatamente a quel giovanotto, immalinconito come gli altri, che sedeva in tribuna Autorità, cinto nel suo cappotto scuro come la notte calata sui ragazzi giallorossi. «Dai, ora si mette gli scarpini e ci pensa lui...». Lui, con la maiuscola, è il Capitano, sempre con la maiuscola. «Perché Totti non sarebbe in grado di giocare mezz'ora meglio di questi?», e quanti si sono dati di gomito, quanti se lo sono detti, tra il serio e il faceto.

Roma, la nostalgia di Totti

 

Accadeva la stessa cosa con Bruno Conti, negli anni Novanta, quando si dovevano immaginare le corse e i dribbling di Marazico, i gol di Pruzzo, le bombe di Agostino, le geometrie di Falcao, ecc...

per provare un brivido. Poi, esplose un certo Totti e il tifo romanista riprese a coniugarsi col tempo presente. C'è un documentario, anzi un docu-film come si dice oggi, bellissimo, del 1996, dunque qualche anno fa: si chiama "Quando eravamo re", vinse l'oscar. E' il ritratto di uno dei più grandi atleti di tutti i tempi, Muhammad Ali, e il racconto delle settimane di preparazione all'incontro forse più famoso nella storia del pugilato, the rumble in the jungle a Kinshasa, la rissa nella giungla con cui strappò a George Foreman il titolo mondiale, 30 ottobre 1974. Dal film non è tanto l'esito sportivo a emergere, né i gesti tecnici con cui Ali si riprese la cintura, ma l'immedesimazione del popolo africano nel campione dei diritti civili e delle battaglie per gli ultimi, documentata giorno per giorno, allenamento dopo allenamento, corsa dopo corsa. Lui, nero come il suo avversario, ma più nero, più africano. Ecco.

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"Quando erano re", i romanisti non è che vincessero granché (negli ultimi vent'anni, 1 scudetto, 2 coppe Italia e 2 Supercoppe), ma avevano simboli in cui riconoscersi, e da cui farsi riparare nei momenti di difficoltà. Prima Totti, poi De Rossi. Poi, nessuno. Perché con tutto il rispetto, né Florenzi né Pellegrini hanno simboleggiato o simboleggiano alcunché. Ed entrambi, Totti e De Rossi, fuori dalla Roma, anche come tecnici o dirigenti.

Ma davvero se ne può fare ancora a meno? E davvero si può ritenere di mettere tutto il peso del "romanismo", cioè quel sentimento che contiene in sé intensa passione calcistica e spiccato senso di appartenenza, una specie di ideologia, sulle spalle - forse non più tanto larghe - di José Mourinho? Perché di allenatori di grande personalità e grande curriculum, Roma ne ha visti più di uno nella sua storia, ma in pochi, anzi giusto un paio, hanno vinto. Ma avevano grandi giocatori, anzi grandissimi. Sono quelli che in alcune fasi storiche (alcune... due in realtà) hanno elevato la squadra, la società, l'ambiente da Rometta a Roma. Mentre oggi, sia detto con rispetto ma sia consentita certa mestizia, nemmeno Mourinho, che sembra la versione Duemila dell'Helenio Herrera che venne a svernare in riva al Tevere alla fine dei Sessanta, appesantito dei trionfi con la grande Inter, riesce a elevare questa squadra di ragazzotti volenterosi, ma poco di più. Lo ha detto lui stesso, alzando bandiera bianca: «Non posso chiedere a questi ragazzi qualcosa che non hanno». A ben vedere, però, rispetto a quelle stagioni veraci della Rometta che riempiva l'Olimpico ma non la bacheca, che vinceva tanti derby (questa nemmeno quelli) ma ad un certo punto del campionato si scioglieva regolarmente come neve al sole, da un decennio qui ci sono proprietà ricche e più o meno solide, moderne, internazionali: non americani alla Nando Moriconi, ma manager che ragionano di merchandising, valorizzazione del brand, media company, stadio di proprietà.

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Tutto giusto, tutto auspicabile, ma ci vorrebbe anche, anzi innanzitutto una squadra un po' più competitiva, che non fosse smantellata ad ogni sessione di calciomercato, o almeno, in assenza di campionissimi, ci vorrebbe un'anima, che la pervadesse, e invece ora manca tutto, e nemmeno si può dire alla Cocciante "bella senz'anima", perché lo spettacolo è quello che è, e davvero è incredibile che l'Olimpico continui a riempirsi visto che ormai ogni replica è peggiore della precedente. E insomma, la nostalgia morde e fa male. E più la squadra stenta, più ci si immalinconisce, più si prova a evadere con il cuore e la mente da questa mediocrità. E il rischio, oltretutto, è che anche un tipo Special come Mourinho si normalizzi, come un Fonseca qualunque. Forse sta già accadendo. Del resto, lui è abituato ai grandi interpreti, non a questa compagnia di giovanotti appena usciti dal corso. Ecco, se la situazione è questa, aridatece il Capitano. Almeno per ricordare i bei tempi andati.

 

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