Supercoppa a Gedda, gli sceicchi e la sottile strategia del calcio

di Gianfranco Teotino
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Venerdì 4 Gennaio 2019, 00:28
Dai petrodollari agli arabogol. Si portano a casa il pallone per rendersi presentabili di fronte al mondo. Non soltanto i sauditi, ma un po’ tutti i Paesi del Golfo. Noi veniamo da voi e voi venite da noi. I 7 milioni e mezzo di euro per una partita, garantiti al calcio italiano, sono solo una delle tante mosse per comprarsi i favori di chi, in cambio di un assegno con almeno sei zeri, è pronto a socchiudere gli occhi di fronte ai diritti calpestati, diritti umani ancor prima dei diritti civili.

I posti migliori riservati ai soli uomini sono una vergogna che non può essere cancellata neppure dalla precisazione che nei loro recinti le signore potranno accedere anche se non accompagnate, bontà loro. Ma oltre le donne, c’è di più. Forse non tutti sanno che il sistema calcio dell’Arabia Saudita è direttamente nelle mani di Mohammed bin Salman, il principe reale sospettato di essere il regista dell’omicidio di Jamal Khashoggi, giornalista progressista in esilio, assassinato nel consolato di Istanbul il 2 ottobre scorso. Il ministro dello Sport Turki Al-Sheikh è un uomo di stretta fiducia dell’erede al trono. A lui è stata affidata buona parte dei 35 miliardi di dollari di investimenti previsti dal progetto “Vision 2030” nel settore dell’entertainment, un piano di modernizzazione del Paese che sui rimbalzi del pallone, e sullo sport più in generale, punta molto. E che contiene anche aspetti positivi. In fondo, è proprio grazie al calcio che le donne cominciano a essere un po’ meno emarginate. L’apertura degli stadi, pur se in appositi settori, è stata accompagnata da qualche altra piccola libertà in più: quella di frequentare palestre, di fondare aziende, di guidare le auto… C’è “persino” una donna nel Consiglio della Federcalcio. In un continuo ping pong fra aperure e ignominia.

Agli arabi il calcio piace. L’Arabia Saudita è riuscita a qualificarsi per gli ultimi Mondiali. Per cercare di non fare pessima figura, nel gennaio scorso le autorità governative avevano stretto un accordo con la Lega calcio spagnola per inviare nove 9 giocatori della nazionale in prestito, fra Serie A e Serie B: una specie di “stage” per arrivare in Russia meno impreparati. Un’operazione potenzialmente importante, sia a livello di marketing che tecnico. La spedizione in terra iberica fu però un disastro. I nove calciatori messi insieme in campionato accumularono nientemeno che 3 presenze in tutto. Tanto che alla fine soltanto tre di loro furono poi effettivamente convocati per la rassegna iridata.

Talvolta falliscono, ma non badano a spese i Paesi arabi per mettersi in luce nello sport. Il Qatar si è comprato l’organizzazione dei Mondiali di calcio pagando tangenti e grazie a un ticket con la Russia di Putin (ci fu la doppia designazione 2018-2022) che poi è costato il posto a Blatter e Platini, coinvolti nello scandalo. Si pagano non esclusivamente manifestazioni grandi come quella del 2022, o un po’ meno importanti, per quanto egualmente appetitose, come la Supercoppa italiana fra Juventus e Milan, ma anche addirittura gli atleti, la loro cittadinanza: la squadra del Qatar alle Olimpiadi di Rio era per due terzi formata da concorrenti di altre nazioni, mezzofondisti africani, lottatori caucasici e così via, tutti sotto bandiera qatarina.

La possibilità di ospitare i Mondiali di calcio è così importante da un punto di vista di immagine, oltre che economico, che i Paesi gravitanti introno al Qatar stanno facendo pressing sulla Fifa perché la competizione sia allargata da subito a 48 squadre. Il che obbligherebbe, per carenza di stadi disponibili a Doha e dintorni, a ospitare alcune partite negli Emirati o nella stessa Arabia Saudita. Poco importa che nella complicata galassia medio-orientale Qatar e Arabia siano due Paesi tutt’altro che alleati e che gli Emirati siano invece vicinissimi alla monarchia saudita: sono tutti pronti a far fronte comune pur di staccare il dividendo della credibilità internazionale.
Del resto, il mondo del calcio occidentale si sente in debito con i Paesi del Golfo. Le più importanti iniezioni di capitale degli ultimi anni, mentre il sistema capitalistico era costretto a fare i conti con la più grave crisi economica e finanziaria dagli Anni Trenta, sono venute proprio dal Qatar e dagli Emirati Arabi, che hanno rilevato con fondi pubblici le proprietà di Paris St. Germain e Manchester City, proiettando questi due club allora marginali nell’olimpo della pedata. Una pioggia di petrodollari che ha rimpinguato soprattutto le casse delle società pronte a cedere i loro giocatori più costosi.

Sono più i soldi che dal Golfo sono usciti per riversarsi sul calcio che conta, che non i campioni sul viale del tramonto attratti dalle lusinghe dei petrodollari. Da questo punto di vista, ai Paesi arabi è andata meno bene che alla Cina. Almeno per ora. Eppure, i risultati parlano di un movimento in crescita. Più in crescita di quello cinese. Sarà un caso o forse no, ma è un fatto che, nel recente Mondiale per club, disputatosi ovviamente nel Golfo, negli Emirati, gli strombazzati campioni del Sudamerica, quelli del River Plate, vincitori del drammatico derby continentale di Buenos Aires con il Boca, siano stati clamorosamente eliminati in semifinale dal Al-Ain, e cioè dalla squadra emiratina che è la più forte della zona.

In questi giorni di sosta dei campionati, il Gotha del calcio europeo, Cristiano Ronaldo incluso, naturalmente, si è trasferito a Dubai per un appuntamento che è ormai diventato un classico stagionale, quello dei Globes Soccer Awards, occasione di incontri (di calciomercato) e di vacanze, dove chi accetta l’ospitalità, ovviamente con famiglia al seguito, viene anche premiato. Non manca mai nessuno. A partire dal presidente della Fifa di turno.

Sarebbe bello che, contro il parere della Lega calcio e nel silenzio della Federcalcio del neo-presidente Gravina, Milan e Juventus si rifiutassero di andare a Gedda. Bello ma forse impossibile. Perché in questo modo si aprirebbe un fronte che il calcio internazionale non è in grado di sostenere. Per ragioni pratiche ed economiche. A partire proprio dai Mondiali in Qatar, che molti vorrebbero boicottare anche e soprattutto per le notizie di morti sui cantieri degli stadi, a causa della mancanza delle più elementari norme di sicurezza. Ma è facile prevedere che nel 2022 tutti i più grandi ci saranno, in Qatar. E magari pure in Arabia Saudita.
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