Supercoppa in Arabia, Salvini: «Tribuna per maschi schifezza». Lega A: «Donne libere»

Matteo Salvini
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Giovedì 3 Gennaio 2019, 14:41 - Ultimo aggiornamento: 5 Gennaio, 10:08

Matteo Salvini e Laura Boldrini uniti da un duro attacco al calcio che va a giocare Juve-Milan in Arabia Saudita; la Lega di Serie A che rivendica una scelta in linea con la politica italiana di rapporti commerciali e diplomatici. A due settimane da Juve-Milan in Arabia Saudita, scoppia la bufera per la notizia del settore dedicato alle donne allo stadio della città saudita.
 



Nel giorno in cui vengono richieste cinque condanne a morte per l'omicidio Khasshogi - il caso che scuote gli equilibri politico-diplomatici mondiali attorno alla dinastia saudita e che fa da sfondo anche al caso Supercoppa -, tutto parte dal dato di vendita di biglietti: già staccati 50 dei 60 mila tagliandi del King Abdullah Sports City Stadium, dove ci sarà un settore per soli uomini e un settore per uomini e donne, e secondo i costumi della dinastia wahabita le donne dovrebbero poter andare solo se accompagnate da un uomo. «La Federcalcio blocchi subito questo schifo dei biglietti, non si può giocare in un Paese che discrimina le donne», attacca Giorgia Meloni, riaprendo una polemica rimasta sotto traccia nelle settimane scorse.

La protesta a valanga diventa bipartisan. Laura Boldrini tuona: «Non scherziamo, se ne occupi la vigilanza Rai vietando la diretta tv». L'Usigrai aveva già protestato, al momento da Viale Mazzini non c'è una presa di posizione ufficiale. Poi l'affondo di Salvini, che prima definisce la scelta «una schifezza», poi lancia il suo affondo: «sensibilizzerò la Lega a riconsiderare questa decisione. Un Paese che non consente alle donne di andare allo stadio da sole non è civile: è retrogrado, illiberale e non merita il marchio storico di Juve, Milan e dell'Italia». Ma è proprio sul concetto di marchio - al di là del pesante attacco diplomatico del vicepremier Salvini - che ruota la 'difesà della Lega di A. «Quando abbiamo scelto la sede, non era scoppiato il caso Khasshogi, se ci fosse stato non rifarei la stessa scelta», ammette il presidente Gaetano Miccichè. Il quale però ha soprattutto spiegato le considerazioni fatte a giugno al momento della firma di un accordo da 21 milioni per tre edizioni (quella del 16 gennaio è solo la prima).

«Dopo il caso Khasshogi, doverosamente ci siamo interrogati» e consultati con l'ambasciatore italiano a Riad: «Il calcio non fa politica, fa parte del sistema culturale ed economico italiano e non può avere logiche, soprattutto nelle relazioni internazionali, diverse da quelle dell'Italia. L'Arabia Saudita è il maggior partner commerciale italiano nell'area mediorientale, con decine di importanti aziende italiane che esportano e operano in loco: non possiamo fare scelte che non rispecchiano il sistema Paese». Ma c'è la questione delle donne. È vero che un settore sarà esclusivo per gli uomini, ma le donne saudite «potranno assistere per la prima volta a una partita internazionale, e potranno farlo anche da sole». Lettura confermata dall'ambasciata saudita in Italia. «Sì, potranno andare da sole». Meloni chiede a quel punto che la Farnesina chiarisca cosa possano fare e non fare le donne, locali e occidentali, mentre emerge che le tifose in arrivo dall'Italia non avranno l'obbligo di portare il velo. Insomma, una discriminazione o un piccolo passo in avanti nelle minime aperture del principe ereditario Bin Salman?

Alla seconda lettura lascia pensare il recente gp di Formula E nel deserto saudita, dove sugli spalti appassionati e appassionate si sono mischiati, così come donne in burqa totale e ragazze senza alcun velo in volto, come testimoniano i video sul sito della Fia. «È un piccolo passo avanti», dice Evelina Christillin, tifosa Juve e dirigente Fifa. Ma la polemica non si ferma. «La differenza tra me e la Boldrini è che io da ministro dell'interno devo fare di tutto per non far entrare estremisti islamici convinti che le donne debbano portare il burga e restare in casa.
Non guarderò la partita», rincara Salvini, che con l'«illiberale, retrogrado e non civile» attribuito all'Arabia Saudita chiarisce di non aver alcuna intenzione di premere sul freno.

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