«Il grossotema sarà quello del mercatoesterodovel’Italiaèsemprestata più debole rispetto alla Premier inglese e alla Liga spagnola. Questo perché, in Inghilterra ad esempio, sono 10 anni che è stata avviata questo tipo di logica,dove le stesse squadre danno un contributo rilevante alla valorizzazione del prodotto. La Spagna, invece, ha un grandissimo mercato in Sudamerica. Le faccio un esempio: la finale di coppa di Lega in Spagna è un evento su cui è stato recentemente fatto un marketing molto innovativo, la nostra Coppa Italia è la celebrazione dei soliti noti che vanno allo stadio Olimpico di Roma». Il primo passo è stato fatto, il secondo da fare qual è? «Bisogna investire. Oggi quello della Serie A è un brand che ha molto meno appeal rispetto al passato. E questo perché negli ultimi 10 anni è stata gestita da presidenti proprietari che hanno pensato al campanile ma non alla chiesa».
Possiamo dire che questa operazione aiuterà a far tornare i campioni nella nostra serie A? «Sarà fondamentale però stringere un patto serio: tutti dovranno contribuire alla realizzazione di questo progetto.
E parlo anche degli stadi. Vanno valorizzati rendendo migliore l’esperienza del cliente». Per la riuscita del progetto sarà fondamentale cedere una parte della serie A? Alcuni presidenti avrebbero voluto far entrare i fondimasenzaperderequote «Credochequestasiastatauneccesso di considerazione di sé stessi che non ha eguali. È difficile convincere un fondo a dare sold iche avrebbero gestito i president idei club». In questa ottica dividere la parte commerciale da quella sportiva aiuterà la governance «Assolutamente,il patto che c’è dietro è che i presidenti escono da una gestione che in passato è stata il limite della nostra serie A per via dei continui conflitti. Non ci si è mai messid’accordo. Oggi si fa un passo importante verso il futuro»
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